Insidia stradale, caso fortuito e onere della prova
La Corte di Cassazione con la sentenza 1896 del 3 febbraio 2015 pone attenzione sulle norme che regolano la responsabilità da cose in custodia della Pubblica Amministrazione.
Il punto analizzato e nuovamente chiarito riguarda il “riparto” dell’onere della prova in caso di responsabilità (cosi come disciplinato dall’art. 2051 c.c.). la questione è di primaria importanza, poiché spesso è proprio sull’onere della prova che qualsiasi pretesa risarcitoria trova il suo maggiore ostacolo. Detto in altri termini, non ci si deve solo preoccupare di aver ragione, ma anche di poterlo dimostrare.
Il punto analizzato e nuovamente chiarito riguarda il “riparto” dell’onere della prova in caso di responsabilità (cosi come disciplinato dall’art. 2051 c.c.). la questione è di primaria importanza, poiché spesso è proprio sull’onere della prova che qualsiasi pretesa risarcitoria trova il suo maggiore ostacolo. Detto in altri termini, non ci si deve solo preoccupare di aver ragione, ma anche di poterlo dimostrare.
La prova del caso fortuito, circostanza che consente l’esonero da responsabilità risarcitoria, incombe al custode della cosa (in questo caso alla Pubblica Amministrazione), ma presuppone che in danneggiato abbia fornito preliminarmente la prova del nesso causale tra evento dannoso e la cosa custodita.
Questo principio giuridico assume un rilievo fondamentale nelle applicazioni pratiche; soprattutto sgombera il campo da un “facile assunto” che autorizzi qualunque soggetto a ritenersi danneggiato semplicemente dimostrando di essere incappato in qualsiasi tipo di “insidia” (buca, avvallamento ecc.) a causa della presunta ed “aprioristica” negligenza da parte del custode.Al contrario, il danneggiato è tenuto a fornire la sussistenza di un nesso di causalità tra il danno e la cosa custodita (con negligenza), ed è suo preciso onere dimostrare innanzitutto l’attitudine della cosa a produrre un danno per la sua intrinseca pericolosità.
I giudici dunque pongono alla nostra attenzione l’istituto della oggettiva pericolosità (altrimenti definita “insidiosità”).
Nel caso concreto era stato indicato come luogo dell’insidia, il manto stradale, su cui un soggetto sarebbe caduto. Durante l’istruttoria invece era emerso che l’insidia si trovava sul marciapiede e dunque in sede di ricostruzione dei fatti il nesso di causalità tra condotta del danneggiato ed evento era stato “travisato”.
Questo principio giuridico assume un rilievo fondamentale nelle applicazioni pratiche; soprattutto sgombera il campo da un “facile assunto” che autorizzi qualunque soggetto a ritenersi danneggiato semplicemente dimostrando di essere incappato in qualsiasi tipo di “insidia” (buca, avvallamento ecc.) a causa della presunta ed “aprioristica” negligenza da parte del custode.Al contrario, il danneggiato è tenuto a fornire la sussistenza di un nesso di causalità tra il danno e la cosa custodita (con negligenza), ed è suo preciso onere dimostrare innanzitutto l’attitudine della cosa a produrre un danno per la sua intrinseca pericolosità.
I giudici dunque pongono alla nostra attenzione l’istituto della oggettiva pericolosità (altrimenti definita “insidiosità”).
Nel caso concreto era stato indicato come luogo dell’insidia, il manto stradale, su cui un soggetto sarebbe caduto. Durante l’istruttoria invece era emerso che l’insidia si trovava sul marciapiede e dunque in sede di ricostruzione dei fatti il nesso di causalità tra condotta del danneggiato ed evento era stato “travisato”.