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Nel caso in cui l’opposizione sia stata sollevata innanzi alla prefettura, entro trenta giorni dalla ricezione, l’ufficio avrà il compito di inoltrare il ricorso al comando di appartenenza dell’organo che ha emesso il verbale oggetto della contestazione, affinché questi produca i necessari elementi per l’istruttoria a conferma della legittimità dell’accertamento eseguito. A sua volta il comando di appartenenza dell’organo accertatore dovrà ritrasmettere gli atti alla Prefettura, completi di ulteriori eventuali elementi istruttori, entro il successivo termine di 60 giorni.
I termini per la notifica dell’ordinanza
Nel successivo termine di centoventi giorni dalla data di ricezione degli atti, il Prefetto, esaminati il verbale, il ricorso e gli atti prodotti dall’ufficio o comando accertatore, sentiti gli interessati che ne abbiano fatta richiesta, è tenuto ad adottare, mediante ordinanza, il provvedimento di rigetto del ricorso o di archiviazione degli atti. Nel caso in cui l’istante abbia fatto richiesta per l’audizione personale, il suddetto termine resta sospeso per tutto il periodo intercorrente tra la data di notifica del provvedimento di fissazione dell’udienza e l’udienza medesima. L’ordinanza di ingiunzione dovrà essere notificata al ricorrente entro il termine perentorio di centocinquanta giorni dalla sua adozione.
Il raddoppio della sanzione in caso di rigetto
Occorre evidenziare che, in caso di esito negativo, per espressa previsione di legge, l’ordinanza di rigetto ingiungerà il pagamento di un importo non inferiore al doppio del minimo edittale di ogni violazione contestata nel verbale, oltre le spese del procedimento. È appena il caso di specificare che, nel caso in cui la violazione comporti anche la decurtazione di punti, essi non subiranno comunque alcun aggravio. Pertanto, in molti caso, sollevare opposizione innanzi al Prefetto può rappresentare un azzardo, poiché espone il ricorrente al rischio di dover pagare un importo raddoppiato, nel caso in cui il ricorso non venga favorevolmente considerato. Come già detto, l’aggravio della sanzione in caso di rigetto rappresenta non più una possibilità, ma una certezza, non potendo il Prefetto decidere diversamente. Entro il termine di trenta giorni dalla notifica dell’ordinanza di rigetto il ricorrente potrà scegliere se pagare l’importo richiesto o sollevare opposizione innanzi al Giudice di Pace. Decorso inutilmente tale termine, senza che sia stato effettuato il pagamento, né presentato il ricorso, l’ordinanza di ingiunzione costituirà titolo esecutivo per l’escussione coattiva del credito.
L’accoglimento del ricorso e l’archiviazione
Al contrario, potrà, tuttavia, avvenire che il Prefetto riconosca la fondatezza del ricorso e ordini l’archiviazione degli atti, annullando così l’efficacia del verbale. Dall’annullamento consegue la completa caducazione di tutti gli effetti del verbale, sia per quel che attiene alla pena pecuniaria, che per quel che attiene alla decurtazione dei punti e ad ogni altra pena accessoria.
La notifica dell’ordinanza oltre i termini
Caso ancor più frequente – oggi meno che in passato – e che al ricorso non faccia seguito alcuna risposta, o che la risposta giunga oltre i termini di legge. In tal caso il ricorso si ha per accolto “per silenzio assenso”, al fine di non penalizzare il ricorrente per l’inerzia dell’organo amministrativo e, secondo la ratio del dettato normativo, per non lasciare indefinitivamente pendente il ricorso. Proprio riponendo fiducia e speranza nella proverbiale inefficienza e lentezza della macchina burocratica, è molto frequente l’uso di sollevare ricorso innanzi al Prefetto (anziché innanzi al Giudice di Pace), inflazionando di domande – spesso del tutto infondate – gli uffici amministrativi, che spesso non riescono a rispondere entro i termini. Si tratta di realtà che sono comunque in rapida evoluzione, per cui attualmente si riscontra siano sempre più rari i casi in cui le ordinanze giungano oltre i termini di legge.
Il difetto di motivazione
Allo stesso modo però, le ordinanze, pur giunte nei termini, sono generalmente redatte in modo sempre più superficiale e prive di alcuna idonea motivazione a loro sostegno. Considerata la mole di ricorsi pendenti è del tutto prevedibile nonché “fisiologico” che le Prefetture o non riescano a rispondere entro i termini o, ove riescano nell’impresa, non riescano adeguatamente a motivare i propri provvedimenti, ricorrendo a delle mere formule di stile. Anche contro tali provvedimenti, non ha tardato ad abbattersi la scure della Cassazione , che ha ribadito il principio secondo cui, in caso di ricorso al Prefetto avverso ad una sanzione amministrativa ex articoli 203 e 204 del Cds, l’ordinanza ingiunzione di rigetto deve essere, a pena di illegittimità, motivata, sia pure succintamente, sia in relazione alla sussistenza della violazione, sia in relazione alla infondatezza dei motivi allegati con il ricorso. In particolare, è evidente che ove l’ordinanza risulti essere assolutamente priva di alcun riferimento alle doglianze prospettate nel ricorso amministrativo, e che pertanto risulti essere stato semplicemente adottato un modulo prestampato uniforme, privo di riscontri e riferimenti alla fattispecie specifica esaminata, la funzione deflattiva del rimedio amministrativo resterebbe del tutto inevasa, così rinviandosi all’esame del Giudice di Pace l’esatto componimento dei termini della lite, con inutile dispendio di tempo e risorse da ambo le parti.