Indice degli argomenti
Il procedimento di opposizione innanzi al Giudice di Pace è regolato in parte dalla Legge 689/1981 e, per quel che residua, dalle norme del Codice di Procedura Civile. Dopo il deposito (e quindi l’iscrizione a ruolo) del ricorso, il Giudice di Pace dovrà fissare l’udienza per la comparizione delle parti, con provvedimento che sarà notificato a cura della cancelleria. Tra il giorno di notificazione del provvedimento di fissazione dell’udienza e l’udienza stessa dovrà intercorrere un termine libero di almeno trenta giorni (o sessanta se il ricorrente risiede all’estero). A norma del nuovo comma 3bis dell’art. 204 bis del Codice della Strada, nel caso in cui il ricorso contenga istanza di sospensione della esecutività della sanzione, il giudice di pace dovrà fissare l’udienza di comparizione entro venti giorni dalla data del deposito del ricorso.
I termini per il ricorso
L’amministrazione opposta dovrà costituirsi in giudizio, mediante il deposito della propria comparsa e di eventuali documenti, almeno dieci giorni prima dell’udienza di comparizione.
L’art. 23 della Legge 689/1981 prevede sia fatto obbligo al ricorrente di presentarsi in udienza, salvo legittimo e documentato impedimento, ritenendo che la sua eventuale assenza sia da intendersi come implicito atto di rinuncia all’opposizione. In caso di assenza del ricorrente, pertanto, il Giudice emetterà ordinanza di convalida del verbale ed il ricorso resterà improduttivo di effetti. La norma in questione pone, pertanto, una evidente disparità di trattamento tra le parti del giudizio, ponendo l’obbligo di presenza solo a carico dell’istante. Tale disparità è stata temperata dall’intervento della Corte Costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità del comma V, dell’art. 23 della Legge 689/1981 nella parte in cui prevede che il Giudice di Pace convalidi il provvedimento opposto in caso di ingiustificata assenza del ricorrente, anche quando l’illegittimità del provvedimento risulti manifestamente dal ricorso e dalla documentazione offerta in giudizio.
L’udienza innanzi al Giudice di Pace
Giunto il giorno dell’udienza, il ricorrente dovrà presentarsi innanzi al Giudice di Pace designato dall’ufficio, personalmente o delegando un proprio conoscente.
La delega potrà essere redatta seguendo il modello pubblicato nel formulario, nel capitolo a seguire.
Generalmente il biglietto di cancelleria contiene tutte le informazioni necessarie per poter agevolmente individuare l’aula ed il giudice. Una volta giunti in udienza, la prima azione da compiere è rinvenire il fascicolo relativo alla propria causa e accodarsi al turno in attesa della discussione. Nel frattempo può essere utile iniziare a scrivere il proprio verbale sul foglio protocollo presente nel fascicolo, anche se in molti casi, per maggiore rapidità, i giudici utilizzano dei prestampati che compilano essi stessi al momento. Ad ogni buon conto, nel caso dovesse tornare utile, per il testo da trascrivere sul verbale si potrà avere a riferimento il modello pubblicato nel formulario, nel capitolo a seguire.
Se presente, anche l’amministrazione opposta, in persona del funzionario delegato per l’udienza, darà atto a verbale della propria presenza e articolerà le proprie richieste. A seguito della discussione, in calce al verbale, il Giudice di Pace annoterà il proprio provvedimento. La discussione si risolve spesso in un paio di minuti, durante i quali il ricorrente avrà modo di illustrare al Giudice le ragioni del proprio ricorso e le motivazioni per cui ritiene che il verbale oggetto di contestazione sia da annullare. Generalmente, il Giudice addiviene alla propria decisione a seguito della prima ed unica udienza, ma nulla impedisce che possano esserci dei rinvii, nel caso in cui ritenga di dover svolgere attività istruttorie per meglio delineare la questione o per concedere alle parti un termine entro cui produrre memorie ulteriori.
Per attività istruttoria si intende l’acquisizione di qualsiasi mezzo possa ritenersi utile a meglio circostanziare i fatti accaduti e quindi ad orientare il convincimento del giudice. L’acquisizione di mezzi istruttori può essere domandata dalle parti o disposta d’ufficio direttamente dal giudice.
In estrema sintesi, i possibili mezzi istruttori sono i seguenti: libero interrogatorio dell’opponente o del materiale trasgressore che ne faccia richiesta, nel caso in cui questi sia assistito da un legale, affinché, direttamente dalla viva voce del soggetto concretamente coinvolto il giudice possa acquisire nuovi elementi di valutazione; escussione testimoniale degli agenti accertatori o di altri soggetti indicati dalle parti; ispezione di cose o persone, ex art. 118 e 258 e ss. C.p.c.; acquisizione di atti o documenti (ad esempio il rapporto con gli atti relativi all’accertamento).
I mezzi di prova
L’assunzione di mezzi di prova rappresenta una fase assolutamente delicata del procedimento, poiché dovrà essere volta non semplicemente e direttamente a negare la veridicità del verbale, ma a prospettare all’organo giudicante un ordine delle cose ipoteticamente differente rispetto a quanto supposto dall’agente accertatore, non per una volontaria mistificazione dei fatti accaduti, ma per un pur sempre possibile errore cognitivo o percettivo circa la dinamica delle circostanze occorse. In altri termini, la tesi difensiva nell’acquisizione dei mezzi istruttori, non dovrà volgere alla conclusione per cui affermare che “quel che è scritto nel verbale non corrisponde al vero”, poiché, se tale volesse essere la conclusione, differente dovrebbe essere il rimedio giudiziario di cui servirsi: la parte dovrebbe infatti sollevare incidentalmente (cioè nel corso del giudizio) una querela di falso con cui imputare all’agente accertatore il reato di falso in atto pubblico, per aver redatto un atto pubblico contenente affermazioni mendaci. Diversamente, negare semplicemente la veridicità delle attestazioni verbalizzate si rivelerebbe assolutamente infruttuoso, poiché la parola del pubblico ufficiale gode di fede privilegiata, e l’organo giudicante, tra le due opposte tesi, non potrà fare altro che attenersi a quella consacrata nel verbale. Nello svolgimento delle attività istruttorie, il ricorrente non dovrà, inoltre, mai trascurare un importante principio (questa volta a lui favorevole): l’onere della prova incombe non sull’opponente ma sull’amministrazione opposta. Come più volte precisato dalla Suprema Corte di Cassazione, l’opposizione all’ordinanza-ingiunzione irrogativa di una sanzione amministrativa può, infatti, consistere anche nella semplice contestazione della pretesa della P.A. In altre parole, nel rapporto processuale che si instaura con il ricorso, le parti di attore e convenuto sono formalmente invertite, gravando esclusivamente sull’amministrazione (parte attrice in senso sostanziale) l’onere di dimostrare il fondamento della propria pretesa di credito. Non potrebbe, in effetti, essere altrimenti: sarebbe contrario ai più elementari principi giuridici attribuire all’ingiunto l’onere di offrire prova negativa che dimostri la propria estraneità ai fatti contestatigli. Sulla scorta di tali brevi osservazioni, si precisa che la prova di cui l’Amministrazione dovrà render conto dovrà riguardare i fatti non al momento attuale, ma a quello in cui si assumerebbe essere stata commessa la presunta infrazione. Come ha avuto modo di chiarire la Suprema Corte: «la mancata produzione da parte dell’autorità opposta (delle produzioni richieste) non può non costituire un decisivo elemento di giudizio, idoneo a suffragare la sussistenza del fatto sul quale l’opponente ha fondato l’eccezione»; e ancora: «la contestazione della idoneità della fonte di prova in tema di sanzione amministrative per eccesso di velocità sottopone la P.A. all’onere di integrare la documentazione sul punto». Si potrà, quindi, mettere semplicemente in dubbio ogni circostanza non immediatamente rinvenibile dalla diretta lettura del verbale, affinché l’amministrazione sia posta nella condizione di dover produrre i necessari rilievi volti a garantire che l’accertamento dell’infrazione e il susseguente procedimento di emissione della sanzione siano avvenuti nel preciso e puntuale rispetto della normativa vigente. Qualora, l’attività processuale svolta dall’amministrazione non consenta di addivenire alla piena ed assoluta certezza circa i fatti contestati al ricorrente, il giudice potrà valutare le prove insufficienti a suffragare la responsabilità del presunto trasgressore ed annullare il verbale, anche in ossequio al principio “in dubio pro reo”. Nel caso in cui la decisione vertesse su specifiche questioni estranee alle conoscenze e competenze del giudice, questi potrebbe disporre (d’ufficio o su istanza di parte) una consulenza tecnica d’ufficio ai sensi dell’art. 191 c.p.c. La consulenza potrebbe ad esempio riguardare la verifica del corretto funzionamento di un dispositivo per la rilevazione delle infrazioni (come un autovelox) e richiedere, pertanto, l’intervento di un perito o di un tecnico che sia in grado e sia abilitato ad effettuare gli opportuni rilievi.
La sentenza del Giudice di Pace
Al termine dell’udienza (della prima o di quella conclusiva, dopo che sia stato effettuato l’eventuale espletamento dei mezzi istruttori), il Giudice darà lettura del dispositivo della sentenza. La sentenza sarà infatti successivamente pubblicata (e se ne potrà eventualmente chiedere copia presso l’apposito ufficio), ma fin da subito le parti saranno messe a conoscenza dell’esito della causa.
La decisione potrà ovviamente essere favorevole al ricorrente e quindi comportare l’annullamento del verbale o, al contrario, potrà essere sfavorevole e determinarne la convalida. In caso di accoglimento, il ricorrente non dovrà fare altro che limitarsi a non pagare. Decorsi sei mesi dalla data della pubblicazione della sentenza, si sarà anche prescritto il termine entro cui l’amministrazione opposta potrà eventualmente sollevare appello in Tribunale. Qualora volesse abbreviare tale termine, il ricorrente potrebbe notificare copia della sentenza alla controparte, così riducendo a trenta i giorni per un’eventuale impugnazione della sentenza e poter prima tirare un sospiro di sollievo. Salvo rare eccezioni, la notifica della sentenza favorevole per l’abbreviazione dei termini di appello, rappresenta una premura eccessiva, poiché, sono davvero pochi i casi in cui l’amministrazione può avere un effettivo interesse ad affrontare un giudizio di secondo grado. Nel malaugurato caso in cui, invece, il ricorso abbia esito negativo e porti alla convalida del verbale, il ricorrente avrà trenta giorni per pagare la sanzione (o a sua volta valutare l’ipotesi di impugnare la sentenza con appello in tribunale). A norma del comma V, dell’art. 204bis del Codice della Strada, in caso di rigetto, il giudice di pace non può applicare una sanzione inferiore al minimo edittale stabilito dalla legge per la violazione accertata. In altri termini, è lasciata facoltà al giudice di valutare se aggravare l’importo della sanzione o confermarla nel suo originario ammontare, senza che il ricorrente abbia a patire alcuna maggiorazione. Sebbene, quindi, la norma non escluda la possibilità che il giudice di pace possa raddoppiare la sanzione in caso di rigetto, la linea tendenzialmente seguita è quella di attenersi semplicemente al minimo edittale.
Resta, infine, da considerare che il giudice potrebbe condannare la parte soccombente alla completa refusione delle spese di giudizio: anche questa è una ipotesi possibile, ma assolutamente marginale. Nel bene o nel male, sia che il ricorso venga accolto o rigettato, i giudici sono tendenzialmente molto restii ad addossare su una delle parti l’integrale pagamento delle spese legali. Secondo l’espressione più comunemente utilizzata, le spese legali vengono “compensate tra le parti”, e cioè ognuno pagherà le proprie (ovvero, nel caso in cui non ci si sarà avvalsi della difesa tecnica di un avvocato, nulla si avrà da pagare).
Una risposta
Buongiorno,
se il GdP rigetta il ricorso bisogna aspettare la notifica per pagare la sanzione?