La Corte di Appello di Trieste, nel respingere le censure mosse dall’imputato, riteneva infondata la motivazione avanzata dal legale del conducente del veicolo secondo il quale l’accertamento del tasso alcolemico, effettuato nell’ambito di un protocollo medico di pronto soccorso, era privo del consenso espresso del contravventore e pertanto non poteva assumersi come prova della colpevolezza.
La Suprema Corte accoglie la tesi dell’imputato ribadendo che l’effettuazione dell’alcoltest da parte dei sanitari di una struttura nella quale il soggetto sottoposto all’esame sia stato ricoverato subito dopo un incidente stradale presuppone, a pena di nullità, il previo avviso allo stesso, quale persona sottoposta alle indagini, sulla facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia. Tale adempimento preliminare invece non va effettuato invece nell’ambito di protocolli medico-terapeutici.
Nel caso di specie il conducente del veicolo aveva provocato un sinistro stradale ed era stato condotto presso un ospedale di Udine dove gli organi accertatori avevano richiesto via fax la verifica del tasso alcolemico.
Il prelievo ematico, limitato alla ricerca di sostanze alcoliche o stupefacenti, non era stato quindi effettuato nell’ambito di un protocollo sanitario per terapie di pronto soccorso, ma come atto urgente della Procura della Repubblica.
Tale azione quindi comportava l’obbligo dell’avviso del difensore dell’imputato – prima dell’inizio delle analisi cliniche – in base a quanto espressamente previsto dagli artt. 354 e 356 c.p.p.
In base a tale assunto quindi la prova sull’eventuale assunzione di alcol o stupefacenti diviene inutilizzabile e la mancanza di altre prove sullo stato di ebbrezza comportano l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.