Posta in termini più semplici, la questione attiene al caso in cui la condotta illecita del trasgressore possa trovare giustificazione (e quindi non essere sanzionata), in virtù dei gravi ed urgenti motivi che l’avrebbero resa necessaria per evitare o attenuare una condizione di imminente pericolo. Esaminiamo in modo più approfondito il caso concreto.
Cass. Sent. n. 7198 del 2016
In particolare, la sentenza n. 7198 del 2016 aveva ad oggetto l’impugnazione di una sentenza del Tribunale di Reggio Emilia, con cui era stato rigetato un appello avverso un ricorso per una multa per eccesso di velocità elevata dalla Polizia stradale.
La linea difensiva del ricorrente che, percorrendo il tratto stradale indicato nelle sanzioni amministrative, si era visto recapitare 5 sanzioni amministrative per la medesima violazione in un lasso temporale di complessivi 45 minuti si basava sul fatto che la condotta era stata determinata dalla necessità di accompagnare un familiare presso il vicino Ospedale di Bologna a causa della patologia clinica che aveva colpito un parente (trasportato a bordo del veicolo del trasgressore).
Siamo pertanto in presenza del c.d. stato di necessità, vediamo di comprenderne i principi generali.
Lo stato di necessità
Viene riconosciuto dalla giurisprudenza come necessitato un comportamento generalmente considerato imprudente o colposo che viene compiuto da un soggetto per evitare un maggior danno a se stesso o a terzi.
La norma di riferimento è l’art. 54 del Codice Penale che definisce questa circostanza come una causa di esclusione della punibilità per la commissione di un reato (la c.d. “scriminante”), e l’art. 2045 del Codice Civile con cui si statuisce che agisce in stato di necessità chi è stato costretto per salvare sé od altri da un pericolo grave ed inevitabile.
Tale istituto si differenzia dalla legittima difesa perché in questo caso non si è in presenza di una aggressione, ma di una situazione di pericolo in grado di provocare un danno ad un individuo.
Siamo quindi in presenza di una ipotesi di forza maggiore di fronte a cui non è possibile difendersi senza ledere l’altrui diritto e per tale ragione i requisiti per l’applicazione di questo istituto sono più rigidi rispetto alla legittima difesa.
Per prima cosa si può agire in stato di necessità solamente per un evitare un danno grave ed irreparabile alla persona e, quindi, non rientrano nella fattispecie né i danni patrimoniali né i danni fisici di lieve o media entità. Per quanto concerne lo stato di pericolo, per evitare riconoscimento di responsabilità, è necessario che esso sia, oltre che attuale, non volontariamente provocato dal soggetto agente. Altra fondamentale caratteristica è che il pericolo deve risultare inevitabile e quindi non si potrà, a differenza di quanto previsto nel regime della legittima difesa, invocare lo stato di necessità quando, ad esempio, il pericolo poteva essere evitato con la fuga.
Il pericolo deve essere determinato da azioni sia imputabili all’uomo (purchè non si tratti di soggetto incapace di intendere e di volere) sia da eventi naturali. Se poi la situazione è stata creata da un terzo soggetto, sarà quest’ultimo a dover rispondere dei danni provocati.
Inoltre, sempre con riguardo all’elemento oggettivo del pericolo, deve sussistere proporzionalità tra fatto e pericolo evitato.
Tornando al caso di specie, quindi, il contravventore si trovava appunto in stato di necessità dovendo accompagnare il soggetto trasportato sul proprio veicolo in Ospedale poiché “fortemente dolorante e con la caviglia gonfia, nella quale si era formato un vistoso ematoma in continuo peggioramento”. A conferma della veridicità di tali circostanze, l’Ospedale nel referto di dimissioni certificava nei confronti del paziente trasportato “distorsione accidentale della tibiotarsica a destra. Algia al legamento peroneo. Zoppia diffusa. Edema”.
Con il ricorso in Cassazione il contravventore afferma come abbia errato il giudice di appello a ritenere inammissibili, perché tardive, le produzioni relative allo stato di necessità, si trattava infatti, ad avviso del ricorrente di “accertamenti di fatto che assurgono ad assiomi indispensabili ai fini del decidere, ovvero accertamenti che risultano essere premessa irrinunciabile nella pronuncia”.
La Corte di Cassazione, aderisce alla linea difensiva del ricorrente considerando errata la decisione del giudice di appello in merito alla presunta tardività delle produzioni documentali.
Conclude quindi la Suprema Corte stabilendo che sono invece ammissibili prima della fase decisionale proprio perché riguardano sentenze, passate in giudicato, rilevanti per il giudizio.
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