Tra le ultime sentenze dei giudici di pace, merita di essere ricordata la sentenza 1574/2019 recentemente emessa dal Giudice di Pace di Cosenza.
La questione affrontata riguarda un ricorso contro una multa per accesso in ztl.
La sentenza tratta in particolare due aspetti, che non riguardano semplicemente la ztl di Cosenza, ma che anzi sono comuni alla maggior parte delle ztl collocate in tutta Italia, ed è per questo di grande interesse.
Distanza minima del segnale
La prima delle due questioni attiene alla distanza minima che deve intercorrere tra l’inizio della zona in cui è vietata la circolazione e il punto in cui è posizionato il segnale di preavviso.
Generalmente il segnale di preavviso è posto immediatamente a ridosso della ztl e ciò non consente all’automobilista di valutare con il dovuto preavviso i diversi itinerari da poter seguire. Si consideri, inoltre, che la segnaletica è spesso di difficile interpretazione, per via dei pannelli che accompagnano il divieto e che specificano i giorni e gli orari in cui vige il divieto, nonché le categorie di veicoli eventualmente abilitati alla circolazione. Chi ne ha visto uno, sa bene che decifrarli è un po’ come dar senso a dei geroglifici o risolvere un gioco della settimana enigmistica.
A prescindere da queste considerazioni, la legge prescrive una distanza minima?
Ovviamente si, sebbene questa distanza venga puntualmente ignorata dalle amministrazioni comunali.
L’indicazione della distanza minima tra un segnale e il divieto a cui quel segnale si riferisce è, infatti, rinvenibile nel regolamento di attuazione del Codice della Strada, che molta amministrazioni comunali fingono di ignorare (o ignorano davvero?).
Ebbene, il regolamento di attuazione prevede espressamente che nelle strade urbane i segnali di prescrizione siano posizionati con uno spazio di avvistamento pari almeno ad 80 metri.
Di conseguenza, in tutti i casi in cui questa distanza minima non sia stata rispettata, l’irregolare posizionamento della segnaletica comporterà la nullità dell’accertamento e della multa.
Varco attivo e varco non attivo
Seconda questione: varco attivo e varco non attivo.
Non serve scomodare l’Accademia della Crusca (che per davvero ci si è scomodata!), per poter affermare che l’espressione “varco attivo” è di per sé ambigua e fuorviante. Il varco è, in quanto tale, un punto di passaggio: indicare che sia attivo può verosimilmente significare che quel punto di passaggio sia, per l’appunto, liberamente transitabile. Alla stessa maniera, affermare che il varco non sia attivo, può intendersi come impossibilità di attraversare liberamente il punto di passaggio.
Malgrado questa interpretazione paia essere quella più logica, gli addetti ai lavori sanno che, in virtù di una interpretazione estensiva sconosciuta alla lingua italiana, per “varco” le amministrazioni comunali intendono qualcosa del tipo “postazione di rilevamento automatico delle infrazioni”. Di conseguenza, “varco attivo” significherebbe “se passi ti multiamo” e “varco non attivo” significherebbe “se passi la fai franca”.
Non è un caso che, per conformare il proprio lessico a quello comunemente in uso secondo la lingua italiana, alcune amministrazioni stiano ultimamente utilizzando le formule “accesso solo autorizzati” e “accesso libero”.
In tutti gli altri casi (e sono la maggior parte), in cui l’indicazione di divieto d’accesso è ancora espressa con la definizione “varco attivo” sarà ragionevole chiedere l’annullamento della multa, per l’ambiguità semantica della segnaletica.
Finalmente, le ultime linee guida del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (del luglio 2019) hanno mandato del tutto in pensione le espressioni “varco attivo” e “varco non attivo”, preferendo ad esse le diciture “ztl attiva” e “ztl non attiva”.
Il problema resta (ed è motivo per l’opposizione della multa) per tutte quelle infrazioni rilevate prima che la modifica suggerita dal Ministero trovi piena attuazione.
Una risposta
ottimo