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Luogo comune vuole (lo sappiamo!) che presentare ricorso contro una multa innanzi al prefetto sia semplicemente un tentativo inutile, perché “tanto il prefetto rigetta sempre“. Eppure nelle nostre FAQ consigliamo esattamente di seguire questa via.
Per quale motivo?
Semplicemente perché si tratta solo di un luogo comune, di uno dei tanti falsi miti diffusi dai tuttologi del web.
Nella realtà giuridica dei fatti, tanto il prefetto quanto il giudice di pace, dovranno attenersi per emettere la loro decisione a norme e ad orientamenti giurisprudenziali, per cui non vi è ragione di credere che uno sia più benevolo o imparziale dell’altro.
La partita si gioca su campi differenti, ma le regole del gioco restano le stesse.
Lo testimonia una delle tante (tantissime!) ordinanze di accoglimento che riceviamo e che ci trasmettono i nostri associati. Sono troppe per poterle pubblicare puntualmente tutte, ma insomma una ogni tanto ci sta e quindi qui di seguito (a fine articolo) ne pubblichiamo la foto
In questo caso particolare, la multa che abbiamo contestato riguardava l’omessa comunicazione dei dati del conducente (in particolare l’art. 126 bis del Codice della Strada). Si tratta di accertamenti documentali, niente autovelox o dispositivi tecnologici di cui poter contestare il non corretto funzionamento o la mancata taratura. Che potrà esserci mai da contestare in casi del genere? In realtà i motivi di contestazione in casi del genere sono tanti e all’argomenti abbiamo dedicato un apposito approfondimento, che puoi leggere qui se ti va.
Tornando alla nostra ordinanza, ci sono un paio di considerazioni da fare.
L’ordinanza non è motivata
L’ordinanza non è sostanzialmente motivata. Semplicemente è dato leggere che l’ufficio della prefettura, avendo visto le controdeduzioni dell’organo accertatore, ha ritenuto di archiviare il verbale. Ma perché mai l’organo accertatore avrà mai inviato al prefetto delle controdeduzioni in cui chiedere l’archiviazione dello stesso verbale che proprio loro avevano elevato? Quale delle motivazioni su cui abbiamo fondato il nostro ricorso ha “colto nel segno”, li ha convinti di aver commesso un errore o li ha posti nell’impossibilità di dimostrare di aver correttamente eseguito l’accertamento? Non lo sapremo semplicemente mai.
L’assenza di motivazione non fa notizia
Se da un lato ovviamente siamo felici quando un nostro ricorso viene accolto, dall’altro sinceramente ci rammarica non poter sapere il motivo dell’accoglimento. Ci sarà pure una ragione, una in particolare, che abbia giustificato l’accoglimento. Eppure non sapremo mai quale sia. Adesso il punto è: messa in questi termini, di questa ordinanza di accoglimento (e di infinite altre di pari laconico tenore) quanto immaginiate possa interessare a chiunque se la trovi davanti? Ovviamente meno di niente.
Immaginate invece se, al pari di una sentenza di accoglimento emessa dal più scalcagnato dei giudici di pace, l’ordinanza fosse stata motivata. Allora sì che (appunto al pari di una sentenza) l’accoglimento avrebbe fatto notizia: se ne sarebbe discusso sulle testate giornalistiche locali, sui siti e sulla riviste del settore. L’ordinanza avrebbe fatto notizia (se fosse stata motivata) anche proprio perché avrebbe indicato con chiarezza quale chiave utilizzare per scardinare la porta dell’accoglimento, perché avrebbe potuto costituire un precedente. Non vincolante per ogni altra successiva decisione, ma pur sempre un precedente.
E invece no: anche queste ordinanze andranno perdute nel tempo, come lacrime nella pioggia (come diceva il replicante sulle battute finali di Blade Runner).
Ci soffermiamo su questa questione, perché riteniamo sia alla base del luogo comune di cui dicevamo all’inizio dell’articolo, del mito da sfatare diffuso dal tuttologo del web: il fatto stesso che le ordinanze di accoglimento non creino alcuno scalpore, non facciano notizia, lascia immaginare che neanche ci siano e che, appunto, il prefetto rigetti sempre ogni ricorso.
Le ordinanze non sono generalmente motivate neanche in caso di rigetto
Fino adesso ci siamo soffermati sulla nostra bella ordinanza di accoglimento. Ma se invece di accogliere il ricorso, il prefetto lo avesse rigettato, l’ordinanza sarebbe stata motivata? Generalmente no. Sia che l’esito sia favorevole o sfavorevole, le prefetture nella maggior parte dei casi si limitano a rispondere con poche righe, con cui comunicano semplicemente se il ricorso è accolto (e quindi il verbale è archiviato) o rigettato.
A questo punto l’iter logico da seguire è assolutamente inverso rispetto a quanto abbiamo affermato in precedenza: se da un lato ci rammarica il rigetto, dall’altro ci fa piacere che l’ordinanza non sia motivata. Ci fa piacere, perché non motivando la propria ordinanza, il prefetto è così venuto meno ad un proprio obbligo: al pari di ogni altro atto amministrativo con cui si opponga diniego ad un’istanza, ad una domanda, all’esercizio di un diritto o di un legittimo interesse, le ordinanze prefettizie devono essere sempre motivate. Detta in termini semplici, l’assenza di motivazione potrà rappresentare un ulteriore motivo in virtù del quale si potrà presentare opposizione innanzi al giudice di pace (con ottime probabilità di successo).
Perché le ordinanze non sono motivate?
Per concludere il ragionamento, resta solo un punto adesso da chiarire: ma per quale motivo le prefetture sono solite non motivare le proprie decisioni?
La risposta più scontata è che in primo luogo, si dovrebbe chiederlo a loro, anche se qualche facile congettura è possibile farla: le prefetture non hanno, infatti, solo l’obbligo di motivare le ordinanze, ma anche quello di emetterle entro termini precisi e perentori. Quindi, per assumere la loro decisione entro i termini di legge è lecito immaginare che non riescano anche ad addentrarsi in complesse motivazioni di diritto. Il più delle volte, dichiarano di far proprie le controdeduzioni dei comandi di polizia, ma anche queste controdeduzioni per la stessa urgenza, saranno a loro volte spoglie e prive del benché minimo approfondimento del caso concreto.
L’inefficienza della pubblica amministrazione
In realtà non stiamo svelando proprio nessun segreto, sono cose che conosce più o meno qualsiasi operatore del settore, tant’è vero che a completare il quadro c’è da considerare anche un’altra ipotesi. Ovvero che l’ordinanza (in questo caso di rigetto) appaia invece compiutamente motivata: pagine e pagine ricche di motivazioni, in cui trovar citate leggi e sentenze. Caspita che bravi, verrebbe da dire di primo acchitto…e invece no.
A ben vedere anche dietro un’ordinanza “apparentemente” ben motivata si nasconde la proverbiale inefficienza della macchina burocratica. Le prefetture sanno bene che ordinanze non motivate sono suscettibili di essere successivamente annullate in caso di opposizione innanzi al giudice di pace e allora, per rendere la vita più difficile a chi intenda impugnarle, in alcuni casi, inseriscono delle motivazioni standard a corredo delle proprie ordinanze. Qualsiasi eccezione sia sollevata nel ricorso, risponderanno sempre con le stesse identiche motivazioni. Sono generalmente motivazioni studiate ad hoc, con le quali sperano di “indovinare”, ma colpendo alla cieca, le doglianze che più spesso i ricorrenti sollevano. Ovviamente le ragioni per le quali si oppone una multa non sono così infinite ed è facile che in tanti casi, pur rispondendo a caso, riescano con le loro motivazioni standard a coprire gran parte delle questioni che erano state poste in discussione con il ricorso. Tuttavia, confrontando attentamente il ricorso con le motivazioni dell’ordinanza, sarà facile rilevare che: talune doglianze del ricorso saranno rimaste prive di risposte nell’ordinanza e, caso inverso, talune motivazioni dell’ordinanza paiano ridondanti rispetto alle eccezioni su cui era basato il ricorso.
Anche in questo caso, quindi, l’ordinanza sarà impugnabile perché non debitamente motivata ovvero perché priva di motivazioni concretamente riferibili al caso concreto. È ovvio che le motivazioni del rigetto non devono essere astratte, altrimenti neanche le si può definire motivazioni!
Va da sé che un piccolo “trucco del mestiere” consiste nel fondare il ricorso anche su doglianze un po’ “vintage“, che trovano fondamento su orientamenti giurisprudenziali meno recenti e che, quindi, e molto improbabile trovino risposta tra le motivazioni standard e casuali su cui si basano generalmente le ordinanze prefettizie.