TRIBUNALE DI PADOVA12 Luglio 2000.
La Prefettura di …, costituitasi ritualmente in giudizio mediante un proprio funzionario, contestava la fondatezza dell’apposizione e ne chiedeva il rigetto.
Istruita mediante produzioni documentali e l’assunzione delle deposizioni testimoniali degli agenti verbalizzanti, la causa viene ora decisa mediante lettura del dispositivo in udienza pubblica.
Solo l’accortezza dei riflessi e la buona vista dell’accertatore garantirebbero dunque – secondo il ricorrente – la corrispondenza tra l’auto “inquadrata” dal Telelaser e quella effettivamente fermata. L’automobilista si troverebbe così esposto al rischio di errore dell’agente accertatore, il quale, il buona fede, potrebbe fermare un veicolo diverso da quello contro il quale aveva “puntato” il telelaser.
Secondo il ricorrente, l’apparecchiatura non presenterebbe quindi i requisiti prescritti dall’art.345 del regolamento di esecuzione del codice della strada, a norma del quale le apparecchiature devono essere costruite in modo da fissare la velocità del veicolo in un dato momento in modo chiaro ed accertabile, tutelando la riservatezza dell’utente. Il Telelaser, invece, non conservando alcuna traccia di ciò che appare sul display, non consentirebbe all’automobilista di accertare se l’auto “inquadrata” nell’apparecchiatura è effettivamente quella sua.
Ciò a differenza di quanto accade con le apparecchiatore che fotografano l’automezzo (cd. autovelox) , ove la corrispondenza tra l’auto e la velocità rilevata è garantita appunto dalla fotografia scattata all’atto di misurazione della velocità.
La Prefettura di … non ha contestato le modalità di funzionamento del Telelaser descritte dal ricorrente, limitandosi ad eccepire che si tratta di un’apparecchiatura ritualmente omologata dal Ministero dei lavori pubblici con il decreto n.1499 dell’8/9/97.
Il ricorrente ha replicato sostenendo che tale decreto deve ritenersi illegittimo, avendo omologato un’apparecchiatura che non presenta le caratteristiche richieste dal cit. art. 345 reg. C.d.S.
Delineato così il primo motivo di opposizione, osserva il giudicante che oltre all’atteggiamento processuale inerte tenuto dalla Prefettura, valutabile ai sensi dell’art.116 c.p.c., anche l’istruttoria svolta ha confermato integralmente che le modalità di funzionamento del Telelaser LTI 20-20 corrispondono a quelle descritte dal ricorrente.
Gli agenti verbalizzanti…………. e ……………, sentiti come testi, hanno infatti confermato che nel display interno l’agente che “punta” il Telelaser vede il veicolo ingrandito due volte (si tratta infatti di un semplice cannocchiale) ed appare la velocità da esso tenuta. La velocità appare altresì su un display esterno, ove resta memorizzata. Dal depliant stampato dalla casa costruttrice (prodotto dal ricorrente) emerge inoltre che effettivamente il dato della velocità riamane “in evidenza fino a che non si preme nuovamente il grilletto”(v. punto n.8 della giuda rapida per l’uso del Telelaser), vale a dire finché non viene effettuato una altro “puntamento”.
Gli stessi testi hanno poi confermato che il numero di targa e le caratteristiche in genere del veicolo “puntato” con il Telelaser, vengono rilevate visivamente unicamente dall’agente che si trova a fianco ed assiste a quello che impugna il Telelaser. Esse non vengono quindi memorizzate dall’apparecchiatura.
L’automobilista fermato può pertanto vedere esclusivamente la velocità memorizzata sul display esterno del Telelaser; ma nulla gli assicura che quella velocità corrisponda al suo veicolo. Egli deve quindi fidarsi dell’accortezza dei riflessi e della buona vista dell’accertatore, come affermato espressivamente dal ricorrente.
Appurate così le modalità di funzionamento del Telelaser, è necessario chiedersi se esse siano conformi al cit. art.345 reg. C.d.S.
Come è noto, tale norma al primo comma dispone testualmente che “le apparecchiature destinate a controllare l’osservanza dei limiti di velocità devono essere costruite in modo da raggiungere detto scopo fissando la velocità del veicolo in un dato memento in modo chiaro ed accertabile, tutelando la riservatezza dell’utente”.
La velocità deve dunque essere fissata in modo chiaro ed accertabile.
Si osservi l’utilizzo del verbo “fissare”, da cui traspare la preoccupazione del legislatore che la velocità rilevata sia fissata, cioè resa ferma, certa, verificabile.
Lo stesso accade per l’espressione “in modo chiaro ed accertabile”.
Tralasciando l’aggettivo “chiaro” (il cui significato è intuitivo e non necessita di particolare attenzione), anche l’aggettivo “accertabile” si pone nella scia del verbo “fissare”.
“Accertabile” deriva infatti sempre da “certo” e significa verificabile, esaminabile, controllabile, provabile, riscontrabile, documentabile in modo oggettivo.
Il contrario di “accertabile” è incontrollabile, inverificabile, incerto, soggettivo.
“Accertabile” è pertanto qualcosa di oggettivamente verificabile, vale a dire di verificabile da parte di chiunque, compreso il presunto trasgressore.
La ratio della norma è pertanto quella di consentire il contraddittorio dell’interessato e di garantire la verificabilità oggettiva della misurazione della velocità, nel senso che al fine di accertare con precisione scientifica la velocità di un mezzo, il legislatore intende prescindere da qualsiasi valutazione soggettiva. Ciò all’evidente scopo di evitare errori. Come noto, la verificabilità oggettiva è proprio una delle caratteristiche principali della scienza. La misurazione della velocità deve quindi avvenire con mezzi scientifici che forniscano dati verificabili. Piena conferma si rinviene anche nell’art.142, sesto comma, C.d.S., secondo il quale “per la determinazione dell’osservanza dei limiti di velocità sono considerate fonti di prova le risultanze di apparecchiature debitamente omologate”.
Come si può osservare, la norma parla di “risultanze”. Il riferimento ad una fonte di prova oggettivamente verificabile, appare evidente anche in tal caso.
Ciò a differenza di quanto accade generalmente per gli atti di accertamento delle violazioni amministrative, ove l’ordinamento ritiene necessaria e sufficiente la valutazione soggettiva effettuata dal solo agente. Quando ad esempio un vigile urbano accerta che un veicolo è stato parcheggiato in divieto di sosta, la percezione visiva (valutazione soggettiva) del vigile è considerata sufficiente, senza che si richieda alcuna accertabilità-verificabilità estrinseca, trattandosi di accertare un fatto relativamente semplice, con caratteristiche tali da non trarre normalmente in errore l’agente.
Non così nel caso di misurazione della velocità mediante apparecchiature.
Il cit. art.345 reg. C.d.S. esige che l’apparecchiatura fissi la velocità in modo chiaro ed accertabile, vale a dire in modo scientifico, verificabile oggettivamente da parte di chiunque, incluso il presunto trasgressore.
Se così non fosse, non si vede a che cosa dovrebbe servire l’utilizzo di una apparecchiature, se non ad evitare errori di percezione da parte dell’agente.
Taluno potrebbe peraltro sostenere che siccome la norma si riferisce testualmente solo alla velocità (“fissando la velocità- in modo chiaro ed accertabile”), allora sarebbe sufficiente che solo la velocità fosse oggettivamente verificabile, e non anche il veicolo concreto a cui essa si riferisce.
Un’interpretazione del genere non appare tuttavia condivisibile, rivelandosi contraria alle esigenze di certezza e di verificabilità oggettiva richieste dalla norma. E’ infatti evidente che il dato della velocità, non correlato con certezza-verificabilità ad un certo veicolo, non ha alcun significato, potendo riferirsi ad un diverso veicolo o addirittura ad un oggetto estraneo casualmente entrato nel raggio d’azione del Telelaser. La certezza-verificabilità o riguarda la velocità associata ad un determinato veicolo, oppure non riguarda nulla. Non può dirsi che la velocità sia stata fissata in modo accertabile -verificabile, se non è accertabile- verificabile che la velocità si riferisca ad un certo veicolo. Se il collegamento tra una determinata velocità ed un determinato veicolo fosse rimesso alla sola percezione visiva dell’agente, non potrebbe dirsi accertabile-verificabile oggettivamente che quel determinato veicolo ha tenuto quella determinata velocità. Si sarebbe in presenza di una valutazione meramente soggettiva dell’agente, priva di alcuna verificabilità oggettiva. A ragione quindi il ricorrente afferma che bisognerebbe fidarsi dell’accortezza dei riflessi e della buona vista dell’agente accertatore. In tal caso, il rischio del cd. “errore umano” inficerebbe irrimediabilmente la certezza della misurazione della velocità.
Certo, il rischio dei errore è senz’altro minimo in condizioni ideali, quando si tratta di individuare un veicolo che procede isolato, a velocità moderata; ma che dire invece se si è in presenza di numerosi veicoli, dello stesso tipo e dello stesso colore, oppure con caratteristiche estetiche comunque simili, che procedono ad elevata velocità (magari violando i limiti) per file parallele, come ad esempio in autostrada?
In tal caso, il rischio che la percezione visiva dell’agente confonda un veicolo con quello che lo precede , lo segue o lo affianca, è assai più elevato. Si comprende allora che a ragione il cit. art. 345 re. C.d.S. esige che l’apparecchiatura fissi la velocità in modo chiaro ed accertabile. Il legislatore ha voluto eliminare il rischio di errore disponendo che la misurazione avvenga mediante un’apparecchiatura tecnologicamente avanzata che consenta di accertare con certezza scientifica (intesa come verificabilità oggettiva ) la velocità tenuta da un determinato veicolo. Se così non fosse, ripetesi, non si comprenderebbe il senso dell’utilizzo di un’apparecchiatura ad hoc.
L’eliminazione del rischio del c.d. “errore umano” costituisce il logico e necessario corollario dell’utilizzo di un’apparecchiatura che misura la velocità scientificamente.
Il cit. art.345 reg. C.d.S., dopo avere previsto che le apparecchiature debbano fissare la velocità in modo chiaro ed accertabile, aggiunge inoltre il seguente inciso: “tutelando la riservatezza dell’utente”.
Anche tale espressione conferma che il legislatore ha richiesto un riscontro oggettivo, vale a dire documentale, della misurazione della velocità tenuta da un determinato veicolo. Proprio perché ha richiesto un riscontro siffatto, verosimilmente di tipo fotografico, lo stesso legislatore si preoccupa che tale riscontro si effettuato e conservato in modo tale da tutelare la riservatezza dell’utente. Se la velocità fosse accertata solo mediante la percezione visiva dell’agente , non sussisterebbe alcuna esigenza di tutelare la riservatezza dell’utente.
Ricapitolando, il cit.art.345 reg. C.d.S., al fine di consentire il contraddittorio con il presunto trasgressore e per una imprescindibile esigenza di certezza, esige che la misurazione della velocità tenuta da un certo veicolo, venga effettuata integralmente dall’apparecchiatura, senza alcun intervento dell’uomo, pena l’inaffidabilità della stessa misurazione, rimessa esclusivamente all’accortezza dei riflessi e alla buona vista dell’agente accertatore.
Alla luce di questo e del fatto che il Telelaser non individua invece in modo accertabile (vale a dire verificabile oggettivamente), il veicolo al quale si riferisce la velocità apparsa sui due diplay, l’omologazione concessa dal Ministero dei lavori pubblici con il decreto 8/9/97 n.4199 deve ritenersi illegittima per violazione del cit.art.345, primo comma, reg. C.d.S..
Ai sensi degli artt. 4 e 5 della L.20/3/1865 n. 2248 all. E, tale decreto va pertanto disapplicato.
Essendo illegittima la misurazione della velocità con il Telelaser e mancando la prova oggettivamente verificabile che la velocità stessa si riferisca proprio al veicolo del ricorrente, il primo motivo di opposizione va accolto, con conseguente annullamento del provvedimento di sospensione della patente e del verbale di contestazione.
Gli altri due motivi di opposizione sono invece infondati.
Il secondo è tale perché il verbale di accertamento risulta sottoscritto da ben quattro agenti, sicché non è dato capire quale ulteriore sottoscrizione manchi, aggiungendosi anche che non sarebbe in ogni caso necessaria la sottoscrizione di tutti gli agenti accertatori (Cass. 13/9/97, n.9076 e Cass. 9/8/98, n.8469), ciò che invece non ha fatto.
Quando infine alla domanda di risarcimento proposta da ricorrente per i danni patiti a causa della illegittima privazione della patente di giuda essa va dichiarata inammissibile, dovendo essere introdotta con il rito ordinario e non con le modalità previste dagli artt.22 e 23 della cit. L. 24/11/81, n.689.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza.
Il Giudice, definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso ed annulla entrambi i provvedimenti opposti.
Dichiara inammissibile la domanda di risarcimento dei danni.
Condanna la Prefettura di …. a rifondere al ricorrente le spese di giudizio, liquidate in £.622.000 per diritti e £.1.300.000 per onorari, oltre IVA e Cpa.
Padova, 27/04/2000