Autovelox e responsabilità penale: Cassazione Penale sentenza n. 10365/2025

sentenza n. 10365/2025

La sentenza n. 10365 del 14 marzo 2025, emessa dalla Suprema Corte di Cassazione – Sezione Penale – rappresenta un’importante svolta nell’inquadramento giuridico delle apparecchiature elettroniche impiegate nella rilevazione delle infrazioni al Codice della Strada, in particolare con riferimento alla distinzione fra approvazione ministeriale e omologazione tecnica ai sensi dell’art. 142, comma 6, C.d.S. La decisione, di natura penale, estende significativamente il perimetro di rilevanza giuridica del difetto di omologazione, qualificando l’impiego di dispositivi non conformi come potenzialmente integrativo di fattispecie criminose, e giustificando misure cautelari reali – tra cui il sequestro preventivo – nei confronti delle imprese fornitrici.

La Corte, accogliendo le valutazioni del giudice del merito, ha confermato la legittimità del sequestro preventivo di diversi dispositivi di rilevamento della velocità, forniti a enti territoriali da soggetti privati, per l’assenza di una valida omologazione. L’adozione di tale misura si fonda su una valutazione prognostica del fumus commissi delicti rispetto alle ipotesi di frode in pubbliche forniture (art. 356 c.p.) e di falso ideologico per induzione del pubblico ufficiale (artt. 48 e 479 c.p.). Tale impostazione colloca l’omologazione non più come mera condizione di validità amministrativa del verbale, bensì come elemento strutturale la cui assenza incide sulla liceità della fornitura stessa.

L’omologazione come criterio di legittimità penalmente rilevante

La Corte ha valorizzato l’art. 142, comma 6, del Codice della Strada, il quale prevede espressamente che le apparecchiature di rilevamento della velocità siano “debitamente omologate”. La distinzione fra omologazione e approvazione – spesso sfumata nella prassi amministrativa – viene qui ricostruita con rigore sistematico: l’approvazione costituisce un atto autorizzativo generale, privo di valenza probatoria in sede di accertamento della precisione tecnica dello strumento, mentre l’omologazione implica l’esecuzione di prove tecniche specifiche, convalidanti l’idoneità del prototipo alle prescrizioni del Regolamento di esecuzione del Codice.

Conseguentemente, la fornitura di dispositivi sprovvisti di tale requisito può essere considerata materialmente difforme rispetto all’oggetto del contratto pubblico, ove questo presupponga la liceità dell’impiego ai fini sanzionatori. Tale difformità è ciò che, nel ragionamento della Corte, sorregge l’accusa di frode contrattuale.

La costruzione del falso ideologico per induzione

Particolarmente innovativa è la ricostruzione della responsabilità penale per falso ideologico, commesso dal pubblico ufficiale su indotta erroneità tecnica. L’argomento è che l’agente accertatore – confidando nell’apparente legittimità tecnica dello strumento – redige un verbale contenente l’attestazione di una misurazione conforme alla legge. Ma tale contenuto risulta essere ideologicamente falso, in quanto la misurazione è stata eseguita tramite uno strumento non idoneo. In tale configurazione, il dolo non si riscontra nel pubblico ufficiale, ma nel soggetto privato che ha indotto l’errore, rendendosi autore mediato del falso ai sensi dell’art. 48 c.p.

La valenza penale del difetto di omologazione non risiede dunque solo nella potenziale invalidità della rilevazione, bensì nella possibilità che tale mancanza sia stata occultata o rappresentata in modo mendace, così da integrare un contributo causale determinante alla formazione di un atto pubblico viziato.

Legittimità del sequestro preventivo e implicazioni processuali

Il sequestro preventivo disposto ai sensi dell’art. 321 c.p.p. trova la propria giustificazione nella necessità di impedire la reiterazione di condotte illecite mediante l’ulteriore utilizzo di dispositivi non conformi. L’applicazione di tale misura nei confronti di beni materiali (gli autovelox), ritenuti corpo del reato o strumenti potenzialmente atti a commettere altri illeciti, sottolinea l’orientamento sempre più rigoroso della giurisprudenza in materia di affidabilità tecnica degli strumenti sanzionatori.

È significativo che la Corte abbia ritenuto inidonee a giustificare la condotta delle aziende fornitrici le prassi amministrative e le circolari ministeriali, le quali spesso confondevano l’approvazione con l’omologazione. È stato affermato, in linea con la gerarchia delle fonti, che tali atti non hanno forza vincolante e non possono derogare a norme di legge. La conoscenza di precedenti orientamenti giurisprudenziali (come l’ord. 14597/2021), secondo la Corte, avrebbe dovuto indurre i soggetti economici a una maggiore cautela nell’immissione sul mercato di apparecchi non pienamente conformi.

Profili di responsabilità contrattuale

Le conseguenze della sentenza travalicano l’ambito penalistico, generando effetti rilevanti anche sul piano contrattuale, amministrativo e civile. Gli enti pubblici che abbiano acquisito dispositivi privi di omologazione si trovano ora esposti a molteplici forme di responsabilità, dalla necessità di ritirare gli strumenti in uso, all’obbligo di restituire gli importi indebitamente riscossi tramite sanzioni invalide, fino alla possibilità di promuovere azioni risarcitorie contro i fornitori per inadempimento contrattuale.

D’altro canto, per i cittadini sanzionati, la decisione costituisce una base giurisprudenziale di particolare solidità per promuovere ricorsi, fondati non solo sulla nullità del verbale per carenza di requisiti tecnici, ma anche sull’illiceità originaria dell’intero procedimento di accertamento. In tal senso, il controllo del verbale e la verifica della sussistenza di un’omologazione regolare si configurano come azione difensiva essenziale.

Prospettive applicative della pronuncia 10365/2025

La sentenza n. 10365/2025 della Corte di Cassazione impone una rilettura trasversale delle regole sull’impiego degli strumenti elettronici nell’attività amministrativa, riconoscendo natura strutturante all’omologazione tecnica. Quest’ultima non si configura più come elemento accessorio o eventuale, ma come prerequisito ontologico della liceità dell’intera catena procedimentale, dalla fornitura contrattuale all’irrogazione della sanzione.

Il principio che si afferma è quello di una corresponsabilità diffusa: dal fornitore, che deve garantire la conformità del bene, all’amministrazione, che è chiamata a esercitare un controllo sostanziale sull’idoneità dei mezzi impiegati. La sanzione amministrativa non può sopravvivere all’illegittimità tecnica dello strumento che ne costituisce la base, così come la buona fede dell’agente non può neutralizzare gli effetti penali dell’induzione in errore.

Il diritto positivo, rafforzato da questa elaborazione giurisprudenziale, chiede oggi al sistema pubblico di rivedere le proprie pratiche operative, promuovendo una cultura della legalità che investa non solo l’efficacia degli atti, ma la legittimità delle premesse tecniche da cui tali atti originano. In tale contesto, il diritto penale, lungi dal porsi come strumento di repressione episodica, si manifesta quale garanzia ultima della correttezza del processo amministrativo, in difesa dell’interesse pubblico e della fiducia dei cittadini nelle istituzioni.

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