Giudice di Pace di Chioggia Sent. del 25 gennaio 2005

 REPUBBLICA ITALIANA
GIUDICE DI PACE DI CHIOGGIA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Giudice di Pace Avv. Raffaele Minoia ha pronunciato la seguente

SENTENZA

giudicando nella causa civile iscritta al n. 63/C/04 R.G. promossa con ricorso depositato in cancelleria in data 7/5/2004
DA
Sxxxxxx Pxxxxxx, nato a xxxxxx il xxxxxxx e residente in xxxxxxxx Via xxxxxx n. xxxx, in proprio
RICORRENTE
CONTRO
COMUNE DI CHIOGGIA in persona del Sindaco pro tempore, in proprio
RESISTENTE

OGGETTO: opposizione avverso sanzione amministrativa emessa con verbale di contestazione n. reg. xxxx datato xxxxxxxx e contestato in pari data.
Decisa con dispositivo letto all’udienza del giorno 25/1/05.

CONCLUSIONI DEL RICORRENTE: “Voglia il Giudice annullare il verbale di contestazione”;
CONCLUSIONI DEL RESISTENTE: “il rigetto del ricorso con vittoria di spese”.

FATTO E SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato in Cancelleria in data 7/5/04 e ritualmente notificato, unitamente al pedissequo decreto, il Sig. xxx xxxxxxx impugnava il verbale di accertamento di violazione del Codice della Strada sopra indicato contestatogli per la presunta infrazione, in Via Maestri del Lavoro alle ore 18.16 del giorno xxxxxx, degli artt. 142 c. 8 e 126 bis C.d.S. in quanto, alla guida della propria autovettura Ford Fiesta targata xxxxxx, circolava “percorrendo la strada sopra indicata con direzione di marcia da sud a nord alla velocità di 95 km/h , superando di 20 km/h il limite massimo stabilito in 70 km/h ”.
Assumeva l’opponente l’insussistenza della violazione contestatagli affermando che circolava ad una velocità non superiore a quella consentita e che, poiché si trovava a circolare in fase di sorpasso di una serie di macchine, a sua volta incolonnato a diverse autovetture, quando un agente agitava la paletta, non essendo sicuro che l’invito a fermarsi fosse rivolto a lui, proseguiva altri 20 – 30 metri prima di fermarsi.
Riteneva, pertanto, l’opponente non essere stato lui l’autore dell’infrazione che gli veniva immediatamente contestata e che, pur avendo subito esposto tale convinzione all’accertatore, rimaneva insoddisfatto dalle argomentazioni di questi che lo invitava a fidarsi della parola di un pubblico ufficiale.
In data 13/9/04 si costituiva in giudizio, con deposito degli atti di cui all’art. 23 c. 2 L . 689/1981 e di comparsa di costituzione, il Comune di Chioggia chiedendo il rigetto del ricorso perché infondato esponendo, in particolare, la piena efficacia tecnica e giuridica del rilevamento a mezzo dell’apparecchio telelaser “Ultralyte”.
Alla prima udienza del 23/9/04 le parti comparivano regolarmente, riportandosi ai rispettivi scritti difensivi.
Veniva, altresì, ammessa la prova testimoniale dell’agente accertatore xxxxxxxx xxxxxxx richiesta dalla resistente e, d’ufficio, l’acquisizione del manuale di istruzioni dell’apparecchio rilevatore telelaser Ultralyte mentre il ricorrente, facendo presente che era solo in macchina, non articolava alcuna richiesta istruttoria.
Alla successiva udienza del 15/10/04, tuttavia, l’Amministrazione opposta dava atto che il teste era impossibilitato a comparire e, pertanto, stante la non opposizione del ricorrente, la causa veniva rinviata all’udienza del 26/11/04 in cui, escusso il teste xxxxxxx, le parti venivano invitate a precisare le conclusioni e, all’esito, concesso il termine invocato di cui all’art. 23 c. 7 L . 689/1981 per il deposito di note difensive, la causa veniva rinviata all’udienza del 25/1/05 in cui veniva decisa con immediata lettura del dispositivo.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso è fondato e va, pertanto, accolto.
Le circostanziate allegazioni del ricorrente in ordine alle condizioni del traffico al momento del rilevamento della velocità e le risultanze istruttorie consentono di condividere appieno le sue perplessità in ordine all’effettiva riconducibilità della velocità rilevata al mezzo da lui condotto.
Lo Sxxxxxxx, invero, nel contestare recisamente che circolava alla velocità di 95 km/h , ha dedotto che si trovava, in fase di sorpasso, incolonnato ad altre macchine che stavano, a loro volta, sorpassando una serie di veicoli tanto che, quando al suo passaggio, ha visto un agente agitare la paletta ha, dapprima, dubitato che si trattasse di un invito a fermarsi a lui rivolto, per poi fermarsi circa 20 – 30 metri oltre.
Lo stesso agente verbalizzante xxxxxxx xxxxxxx, escusso all’udienza del 26/11/04, ha confermato che il ricorrente si fermava circa 20 – 30 metri più avanti, insieme ad un’altra auto che in quel momento gli era affiancata sulla corsia più esterna e, inoltre, dallo stesso verbale di contestazione risulta “accertamento eseguito su veicolo in fase di sorpasso” anche se, contraddicendo tale verbalizzazione, in udienza lo stesso teste ha dichiarato che il rilevamento è avvenuto quando il veicolo aveva già terminato il sorpasso.
Va, altresì, rilevata ai fini che più avanti si esporranno, un’ulteriore circostanza: dall’escussione del teste xxxxxxx è emersa una non corretta conoscenza dello strumento rilevatore avendo il teste dichiarato di aver eseguito il test di affidabilità dello strumento, ossia il controllo a distanza fissa, in maniera errata essendosi posizionato, rispetto al bersaglio fisso, ad una distanza non nota al momento di effettuare il test, contrariamente a quanto precisato nel manuale di istruzioni del telelaser, la cui acquisizione al fascicolo è stata disposta, d’ufficio, all’udienza del 23/9/04.
Tutte le predette circostanze appaiono, chiaramente, idonee a confortare gli assunti del ricorrente anche se, preliminarmente, prima della loro disamina, si impongono alcune necessarie riflessioni in ordine all’efficacia probatoria del verbale di accertamento nel giudizio di opposizione a sanzione amministrativa regolato dagli artt. 22 e ss. L. 689/1981.
Diversi ordini di ragioni inducono ad escludere l’efficacia privilegiata di tale verbale ed a ritenere, invece, che l’apprezzamento da parte del Giudice dell’opposizione debba essere il più ampio possibile, assimilabile, mutatis mutandis, a quello del Giudice penale. Ed invero.
Se è vero che il procedimento di opposizione ad ingiunzione di pagamento di sanzione amministrativa si muove nell’ambito della disciplina del codice di rito civile con la conseguente applicabilità, sia pure con significative eccezioni (ritenuta inammissibilità dell’intervento di terzo, del giuramento decisorio, etc.), delle norme e degli istituti da questo previsti, non si possono trascurare, ed anzi si ritengono prevalenti, le diverse affinità del giudizio di opposizione al rito penale.
Innanzitutto, non si può non sottolineare la stessa funzione della sanzione amministrativa, che non differisce da quella penale se non in ragione del fatto che il legislatore, per valutazioni di natura politica, ha ritenuto opportuno così sanzionare fatti ritenuti meno gravi di quelli definiti (magari fino al giorno prima) come reati, nonché lo stesso oggetto del giudizio, anch’esso finalizzato all’accertamento della responsabilità del presunto trasgressore e della fondatezza della pretesa sanzionatoria che lo Stato intende affermare.
Va, poi, evidenziata l’attenzione del legislatore della depenalizzazione all’elemento soggettivo (artt. 2 e 3 L . 689/1981), alle cause di giustificazione (art. 4 L . 689/1981), alla intrasmissibilità dell’obbligazione (art. 7 L . 689/1981), alla disciplina in caso di più violazioni di disposizioni che prevedono sanzioni amministrative (art. 8 L . 689/1981), a quella in caso di reiterazione delle violazioni (art. 8 bis L. 689/1981), alla disciplina del principio di specialità (art. 9 L . 689/1981), alla valutazione della personalità del colpevole ai fini della commisurazione della sanzione (art. 11 L . 689/1981), alle modalità di accertamento e di contestazione degli illeciti, che escludono un accertamento in modo diverso o una denuncia da parte di privati cittadini (artt. 13 e ss. L. 689/1981) etc., tutte disposizioni di chiarissima ed inequivoca ispirazione penalistica.
La stessa recentissima sentenza della Corte costituzionale n. 27 del 24/1/2005, del resto, ha sottolineato un altro carattere comune con la responsabilità penale ossia la natura “schiettamente personale” di determinate sanzioni amministrative, quali la decurtazione dei punti sulla patente.
Ma è soprattutto in materia probatoria evidente la matrice penalistica, laddove si consideri l’acquisizione d’ufficio dei mezzi di prova, anche attraverso la disposizione della citazione di testimoni senza la previa formulazione dei capitoli, l’inammissibilità del giuramento decisorio, l’esclusione della responsabilità dell’incolpato ove manchino prove sufficienti.
Si tratta di principi in piena sintonia con la natura e con l’oggetto del giudizio di opposizione in cui il presunto trasgressore intende affermare l’insussistenza, anche nel merito, della pretesa sanzionatoria della P.A., suo contraddittore, cui è, invece, rimesso l’onere della prova in ordine alla veridicità dei fatti posti a fondamento della propria pretesa.
E come nel processo penale non è ammessa alcuna prova legale, si deve ritenere che, nel processo di opposizione a sanzione amministrativa, alla luce di tutto quanto innanzi dedotto, ugualmente massimo debba essere l’ambito di apprezzamento devoluto al Giudice, ferma naturalmente restando, in entrambi i casi, l’eventuale trasmissione degli atti al P.M. nell’ipotesi di reato di falso.
Del resto, non va trascurato che, ai sensi dell’art. 24 L . 689/1981 c. 1 “qualora l’esistenza di un reato dipenda dall’accertamento di una violazione non costituente reato, e per questa non sia stato effettuato il pagamento in misura ridotta, il giudice penale competente a conoscere del reato è pure competente a decidere sulla predetta violazione e ad applicare con la sentenza di condanna la sanzione stabilita dalla legge per la violazione stessa”.
Ebbene, poiché nella suddetta ipotesi di connessione è espressamente prevista l’attrazione della cognizione dell’illecito amministrativo nel giudizio penale, nel quale è escluso il vincolo della prova legale, si deve, anche per tale via, dedurre che il legislatore ha inteso escludere l’efficacia della prova legale nella cognizione dell’illecito amministrativo.
Non avrebbe alcun senso, altrimenti, la sostanziale disparità di trattamento fra i casi in cui, essendo l’illecito amministrativo connesso ad un reato, la sua cognizione non incontri i vincoli della prova legale, secondo i principi del processo penale, da quelli in cui, essendo la cognizione limitata al solo illecito amministrativo, il giudice debba trovarsi, invece, vincolato nel proprio accertamento.
Vi sono anche diverse ragioni di natura sistematica che conducono alle medesime conclusioni.
La Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 4/11/1950 ratificata con L. 4/8/1955 n. 848 sancisce il principio per cui le garanzie processuali, ivi comprese quelle concernenti il trattamento paritario in ordine alla prova (art. 6 lett. b)), devono essere estese anche all’illecito amministrativo che, secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (sent. 21/2/1984) è equiparabile, per struttura e finalità all’illecito penale sicchè, anche nel processo avente ad oggetto il primo va attuato il medesimo regime probatorio del secondo con esclusione, quindi, dell’operatività del principio della prova legale.
La nostra stessa Carta costituzionale, all’art. 111, nel testo novellato dalla L. Cost. n. 2 del 23/11/1999, ha sancito espressamente il principio, nel processo penale, della formazione della prova nel contraddittorio delle parti, ove le stesse devono potersi trovare, come in qualunque processo, in una posizione di parità, formale e sostanziale.
Né va trascurata la natura stessa del giudizio di opposizione a sanzione amministrativa come riportato nella relazione ministeriale al relativo progetto di legge la quale, in riferimento alle disposizioni che avrebbero dato luogo agli attuali artt. 22 e 23, precisa che tale procedimento è ispirato a due convergenti linee direttrici, ossia a garantire adeguatamente colui nei cui confronti è stata erogata una sanzione amministrativa “in modo che la tutela sia la più ampia consentita dal sistema complessivo e dai principi dell’ordinamento” nonché alla “massima semplificazione, quale è impedita dall’applicazione delle normali regole del giudizio civile”, semplificazione di cui sono espressione anche le disposizioni “intese a concentrare le attività processuali in relazione all’esigenza che le parti, avendo il diritto di stare in giudizio di persona, devono avere la possibilità di concludere il processo con il minimo impegno di tempo possibile”.
Se si considera, infine, che la sanzione amministrativa oltre ad essere espressione dell’affermazione, da parte dello Stato, delle proprie prerogative dirette a garantire l’interesse generale, come per le sanzioni penali, costituisce senz’altro, altresì, mezzo rivolto “ad assicurare all’ente pubblico, nell’ampio schema dell’autotutela, sia pure in modo indiretto, l’utilità dei rapporti fra l’amministrazione e l’amministrato” (Cass. n. 10823/1990) si deve concludere per l’impossibilità, da parte della P.A., di far valere in maniera assoluta l’efficacia privilegiata dell’atto pubblico poiché ciò significherebbe che alla stessa, titolare dell’interesse fatto valere con l’irrogazione della sanzione nonché, normalmente, anche destinataria dei relativi proventi, si attribuirebbe il potere di precostituirsi, con efficacia privilegiata, la prova documentale dei fatti su cui fonda la propria pretesa.
Non vi è chi non colga la sostanziale differenza fra i casi in cui, in un processo fra parti private, una di esse invochi a sostegno delle proprie ragioni la superiore efficacia probatoria di un atto della P.A. dai casi in cui è la P.A., in un processo nel quale è essa stessa parte, a voler vedere affermata tale efficacia di un atto emesso dalla medesima Amministrazione.
Questo Giudice non ignora le argomentazioni della Suprema Corte, nella sentenza a Sezioni Unite n. 12545/1992, a confutazione degli assunti volti ad escludere il riconoscimento dell’efficacia privilegiata del verbale di accertamento nei giudizi di opposizione a sanzione amministrativa.
Non si può, tuttavia, omettere di considerare il ben diverso assetto della materia all’epoca in cui è intervenuta tale pronuncia, dal momento che non erano ancora intervenute le note sentenze della Corte costituzionale n. 255 del 23/6/1994 e n. 311 del 12/7/1995 le quali, per la prima volta, ammisero la tutela giurisdizionale avverso il verbale di contestazione di infrazioni al Codice della Strada senza il previo ricorso amministrativo al Prefetto, senza, cioè, dover necessariamente impugnare l’ordinanza ingiunzione prefettizia, sul cui presupposto, invece, la suddetta sentenza della Corte di Cassazione fonda le proprie argomentazioni.
Né si ritiene idonea ad inficiare le sopra esposte valutazioni la circostanza, pure dedotta nella medesima sentenza, che, costituendo un elemento essenziale di una fattispecie, la quale non può considerarsi perfezionata senza la verbalizzazione, il processo verbale produce una certezza legale che può essere oppugnata solo con querela di falso poiché è espressione di un’attività pubblica diretta specificamente alla documentazione.
E’ evidente che tale assunto non tiene minimamente conto dei rilievi giuspenalistici, che si assumono di estrema pregnanza, sopra riportati (nel rito penale il medesimo atto pubblico, pur essendo espressione della medesima attività di documentazione, non conserva la stessa efficacia probatoria) dal momento che, invece, la Corte si limita ad affermare, apoditticamente, il carattere processual civilistico del giudizio di opposizione ex art. 23 L . 689/1981.
Nè i medesimi rilievi risultano mai sottoposti all’esame della Corte costituzionale, essendo ben diverse la fattispecie e le argomentazioni del giudice a quo che pur hanno dato luogo alla pronuncia, non vincolante, di manifesta infondatezza, in riferimento all’art. 24 Cost., della questione di illegittimità costituzionale dell’art. 23 L . 689/1981 sull’efficacia probatoria ex art. 2700 c.c. del processo verbale di accertamento di illecito amministrativo (ord. n. 504/1987).
La più recente giurisprudenza di legittimità relativa ad accertamenti eseguiti, come nel caso di specie, con apparecchi rilevatori di tipo telelaser, tuttavia, non solo non si è attestata sul proprio precedente consolidato orientamento, finalizzato ad escludere il riconoscimento dell’efficacia privilegiata del verbale di accertamento in ordine ai fatti consistenti in valutazioni e giudizi, ma ha voluto, addirittura, riconoscere alla verbalizzazione di un fatto, compiuto dal pubblico ufficiale, consistente in un mero apprezzamento personale, quale sicuramente è il puntamento di un veicolo in movimento, efficacia di prova legale, superabile unicamente con querela di falso.
Ed invero, come sentenziato nella pronuncia della Suprema Corte Sez. I n. 5873 del 24/3/2004 (conf. in Cass. Sez. I n. 21360 del 9/11/2004), “l’accertamento delle violazioni delle norme sulla velocità mediante il c.d. telelaser, debitamente omologato, deve ritenersi provato sulla base della verbalizzazione dei rilievi delle apparecchiature, facendo peraltro prova il verbale fino a querela di falso dell’effettuazione di tali rilievi, mentre le risultanze di essi valgono invece fino a prova contraria, che può essere data dall’opponente in base alla dimostrazione del difetto di funzionamento di tali dispositivi, da fornirsi in base a concrete circostanze di fatto”.
Nella fattispecie sottoposta all’esame della Corte di cassazione il ricorrente aveva rilevato che, per le modalità di funzionamento, il telelaser non risponderebbe alle prescrizioni dell’art. 345 del D.P.R. n. 495/1992 in quanto non consentirebbe in alcun modo di memorizzare la targa e le caratteristiche dell’autoveicolo che commette l’infrazione e il procedimento di accertamento si fonderebbe su elementi esclusivamente soggettivi insuscettibili di essere verificati ex post, anche perché nessun riferimento al veicolo puntato sarebbe desumibile dal display dell’apparecchiatura, mentre la rilevazione della velocità non sarebbe fissata in modo chiaro ed accertabile, dovendosi riferire quest’ultima caratteristica alla possibilità di verifica da parte dell’automobilista.
Del resto, se così non fosse, secondo l’assunto dell’opponente, non avrebbe senso il riferimento contenuto nell’art. 345 D.P.R. n. 495/1992 alla esigenza di tutelare la riservatezza dell’utente, previsione questa che, intanto si giustifica, in quanto la violazione contestata abbia un riscontro verosimilmente di tipo fotografico.
In sostanza, sempre ad avviso del ricorrente, il difetto di funzionamento del telelaser sarebbe in re ipsa, risulterebbe cioè dal fatto che esso non fornisce automaticamente dati sufficienti a contestare una violazione amministrativa ad un soggetto. Dalla illegittimità del decreto di omologazione del telelaser discenderebbe, quindi, l’illegittimità del verbale di contestazione.
A fronte di siffatte argomentazioni, assolutamente apprezzabili e che si fanno proprie, si ritiene che la risposta del Giudice di legittimità non sia esente da critiche e, pertanto, non può essere condivisa e presa in positiva considerazione ai fini della presente decisione.
Diverse sono, invero, le censure che possono essere mosse alla suddetta pronuncia.
L’art. 345 c. 1 del D.P.R. 495/1992 richiede, in maniera inequivocabile, che “le apparecchiature destinate a controllare l’osservanza dei limiti di velocità devono essere costruite in modo da raggiungere detto scopo fissando la velocità del veicolo in un dato momento in modo chiaro ed accertabile, tutelando la riservatezza dell’utente”.
Ha sostenuto la Corte che le risultanze del telelaser, provenendo da un’apparecchiatura debitamente omologata, ed essendo gestita direttamente da un organo di polizia stradale di cui all’art. 12 c. 1 D. Lvo 285/1992, soddisfino appieno i requisiti di cui, rispettivamente, all’art. 142 c. 6 (secondo cui “per la determinazione dell’osservanza dei limiti di velocità sono considerate fonti di prova le risultanze di apparecchiature debitamente omologate, nonché le registrazioni del cronotachigrafo e i documenti relativi ai percorsi autostradali, come precisato dal regolamento”) e dall’art. 12 c. 1 D. Lvo 285/1992 aggiungendo, altresì, che il requisito del rilievo della velocità “in modo chiaro ed accertabile” di cui all’art. 345 D.P.R. 495/1992 presuppone unicamente la determinazione inequivoca della velocità di un determinato veicolo, “ben potendo il concreto accertamento essere riferito ad uno specifico ed individuato veicolo dall’agente di polizia addetto all’apparecchiatura stessa” la cui “osservazione documentata” farebbe piena prova fino a querela di falso.
La Corte, quindi, nello scindere l’operazione di rilevamento della velocità da quella di individuazione del veicolo cui la velocità si riferisce, ritiene che quest’ultima operazione ben possa essere eseguita unicamente dal pubblico ufficiale, senza l’ausilio di alcuno strumento, ad occhio nudo.
Se si considera che il telelaser Ultralyte, come si legge nel suo manuale di istruzioni, può rilevare la velocità di veicoli distanti sino a 610 metri e che vi sono altri modelli di rilevatori telelaser, come riportato nella comparsa di costituzione dell’Amministrazione opposta, che possono rilevare la velocità fino ad una distanza di 1000 metri , diventa difficile comprendere come la sentenza in esame possa conciliarsi con una serie di pronunce precedenti nelle quali la stessa Corte ha, sempre, inequivocabilmente sancito il principio secondo cui non fa fede fino a querela di falso tutto quanto è soggetto ad apprezzamenti o valutazioni personali ossia a percezione sensoriale di una realtà in movimento e non statica (cfr. Cass. n. 3522/1999; Cass. n. 2734/2002; Cass. n. 9909/2001; Cass. n. 3350/2001; Cass. n. 693/1999; Cass. n. 3939/1998; Cass. n. 6302/1996; Cass. n. 2988/1996; Cass. n. 12846/1995; Cass. n. 12545/1992; Cass. n. 12189/1992; etc.).
Mentre è stato, per esempio, ritenuto che l’accertamento, contenuto in un verbale di contestazione, che un semaforo segnali luce rossa (Cass. n. 3522/1999) ovvero la rilevazione di un numero di targa di un veicolo (Cass. n. 9909/2001) essendo oggetto di percezione sensoriale, e come tali suscettibili di errore di fatto, non possono costituire accertamenti dotati di fede privilegiata, deve ritenersi, stando alla pronuncia in oggetto, che l’individuazione, da parte di un pubblico ufficiale, di un veicolo, a 1000 metri di distanza, che magari sfrecci a 300 km/h , sia infallibile.
Né persuade la considerazione, espressa dal Comune di Chioggia nella propria comparsa di risposta, che il telelaser in caso di puntamento con modalità differenti da quelle prescritte visualizza sul display il messaggio “error”, dal momento che quello che qui si contesta non è il possibile erroneo puntamento di un determinato veicolo, errore senz’altro rilevato e segnalato dall’apparecchiatura, bensì la possibile attribuzione della velocità, da parte di uno degli agenti addetti all’accertamento, ad un veicolo diverso da quello correttamente puntato, errore che l’apparecchio, chiaramente, non può rilevare.
Sorprende ancor più che la Corte, nell’esprimere il proprio assunto, richiami, addirittura a sostegno del proprio “consolidato orientamento”, tra le altre, la nota sentenza a Sezioni Unite n. 12545/1992 secondo cui “la fede privilegiata non può essere attribuita né a giudizi valutativi, né alla menzione di quelle circostanze relative a fatti avvenuti in presenza del P.U. che possono risolversi in suoi apprezzamenti personali, perché mediati attraverso l’occasionale percezione sensoriale di accadimenti che si svolgono così repentinamente da non potersi verificare e controllare secondo un metro obiettivo, senza alcun margine di apprezzamento (tipico è l’esempio dell’indicazione di un corpo o di un oggetto in movimento, con riguardo allo spazio che cade sotto la percezione visiva del verbalizzante). Là dove la percezione sensoriale può invece essere organizzata staticamente (per esempio, con riguardo alla descrizione di uno stato dei luoghi, senza oggetti in movimento) non esiste alcun margine di apprezzamento e l’atto dispiega la propria fede privilegiata”.
Come tale principi contrastino con quelli espressi nella recente sentenza n. 5873/2004 è di palmare evidenza.
“L’indicazione di un corpo o di un oggetto in movimento, con riguardo allo spazio che cade sotto la percezione visiva del verbalizzante”, che la predetta massima riporta come tipico caso in cui si esplica l’apprezzamento personale e soggettivo del pubblico ufficiale, e come tale non dotato di efficacia privilegiata, è esattamente quello che avviene con l’individuazione di un veicolo, da parte del pubblico ufficiale, attraverso il telelaser.
Né, si ritiene, vale evidenziare, come fa la Corte, che le apparecchiature rilevatrici sarebbero, comunque, direttamente gestite dagli organi di polizia stradale di cui all’art. 12 del C.d.S., come se la qualifica di pubblici ufficiali, anzi definiti addirittura “agenti di polizia giudiziaria” (quasi che l’eccesso di velocità costituisse un reato), fosse, di per sé, una garanzia di infallibilità.
L’individuazione di un veicolo in movimento costituisce, indubitabilmente, attività soggetta ad errore, a prescindere dalla qualifica del soggetto che la compie, ed escludere sempre e comunque, a priori, come fa la Corte, la possibilità di impugnare il relativo accertamento, se non con querela di falso, significa, di fatto, compromettere significativamente l’esercizio del diritto di difesa dell’assunto trasgressore.
Si è già detto che l’art. 345 c. 1 del D.P.R. 495/1992 richiede, in maniera inequivocabile, che “le apparecchiature destinate a controllare l’osservanza dei limiti di velocità devono essere costruite in modo da raggiungere detto scopo fissando la velocità del veicolo in un dato momento in modo chiaro ed accertabile, tutelando la riservatezza dell’utente”.
Cosa significhino gli aggettivi “chiaro” ed “accertabile” la sentenza n. 5873/2004 non lo dice minimamente.
La Corte, infatti, si limita a precisare che la fonte primaria, ossia l’art. 142 c. 6 C .d.S. non richiede che le apparecchiature forniscano anche una documentazione fotografica, essendo la sola norma regolamentare ossia l’art. 345 c. 1 D.P.R. 495/1992, alla quale rinvia l’art. 142 c. 6 C .d.S. (quasi che ciò escludesse la sua vigenza), a richiedere la rilevazione della velocità in modo chiaro ed accertabile.
Nel sostenere che i due aggettivi vadano riferiti solo alla rilevazione della velocità e non all’individuazione del veicolo, la Corte omette completamente di prendere in considerazione i rilievi del ricorrente secondo cui tali caratteristiche sono finalizzate a rendere possibile la verifica, da parte dell’automobilista, dell’eseguito accertamento, e non spiega cosa, invece, starebbero a significare.
Ed invero, non pare proprio che a tali aggettivi possa essere attribuito un diverso significato se non quello di consentire al presunto trasgressore di verificare che il proprio veicolo, e non altri, circolava ad una determinata velocità.
Come si può affermare che l’apparecchiatura misura la velocità in modo chiaro ed accertabile se poi bisogna affidarsi, addirittura fino a querela di falso, alla vista ed alla prontezza di riflessi del pubblico ufficiale?
Se fosse bastata l’individuazione del veicolo ad occhio nudo la norma non avrebbe certo menzionato la necessità di un modo chiaro ed accertabile di accertamento della velocità di un mezzo.
Poiché è compito del Giudice attribuire un senso alle parole del legislatore, si ritiene che l’espressione “in modo chiaro ed accertabile” non possa che significare che il cittadino ha il diritto di potersi rendere conto oggettivamente della velocità tenuta dal suo mezzo.
Conseguentemente, la P.A. ha il dovere di fornire al cittadino una prova chiara ed accertabile, senza chiedergli di fidarsi della rilevazione effettuata ad occhio nudo dal pubblico ufficiale.
I termini “chiaro” ed “accertabile” per avere un senso devono necessariamente intendersi riferiti a terzi, non certo allo stesso pubblico ufficiale che ha effettuato l’accertamento perché, si ribadisce, se così fosse stato, non avrebbe avuto alcun senso menzionare i requisiti della chiarezza e dell’accertabilità della rilevazione della velocità.
La sentenza della Cassazione si risolve, dunque, in una vera e propria interpretatio abrogans, perché trascura il modo chiaro ed accertabile con cui l’apparecchiatura deve rilevare la velocità, anche perché l’art. 345 del D.P.R. n. 495/1992, si puntualizza ancora, riferisce i suddetti aggettivi al modo in cui “l’apparecchiatura” e non il pubblico ufficiale deve rilevare la velocità.
Scarsamente convincenti sono anche le argomentazioni con cui la Corte svaluta la testuale esigenza che l’accertamento della velocità avvenga “tutelando la riservatezza dell’utente”.
Ad avviso della Corte la norma regolamentare non solo non richiede in maniera esplicita la necessità di una documentazione fotografica ma, anzi, opportunamente, la norma ha omesso di specificare ulteriormente le caratteristiche degli apparecchi rilevatori di velocità “in considerazione della rapida evoluzione tecnologica”.
La Corte, tuttavia, non precisa affatto quali progressi tecnologici la norma avrebbe tenuto in considerazione nè si riesce a capire come abbia potuto tenerli in considerazione se poi ritiene idoneo all’accertamento della velocità anche un rilievo eseguito ad occhio nudo.
Più che un’evoluzione si consentirebbe un regresso tecnologico poiché laddove si riteneva necessaria una documentazione fotografica oggi sarebbe sufficiente il rilievo, ad occhio nudo, del pubblico ufficiale.
Quanto alla mancata esplicita previsione, nella norma regolamentare, della necessità di un documento fotografico, la Corte omette di considerare le ragioni di fatto che dettero origine alla previsione di tutelare la riservatezza dell’utente.
E’ noto che tale previsione nacque dall’esigenza di evitare che venisse violata la privacy nei casi in cui, con il verbale di accertamento, veniva recapitata anche la fotografia nella quale il trasgressore era ritratto, magari, in compagnia di persone di cui la sua famiglia si reputava sconveniente ed inopportuno ne venisse a conoscenza.
Anche per tale via, dunque, si deve dedurre che l’esigenza di un accertamento della velocità fissato in modo chiaro, accertabile e tale da tutelare la riservatezza dell’utente non può che presupporre una fotografia, una ripresa video o, comunque, un documento analogo.
Solo un apparecchio del genere può ritenersi che fissi immutabilmente la velocità del veicolo in modo chiaro ed accertabile, senza possibilità di alterazioni o modificazioni.
Anche in ordine alla previsione in esame, quindi, la Corte si ritiene incorra in una interpretatio abrogans, dal momento che non spiega affatto il perché di tale avvertita e testuale esigenza, la quale, invece, si ribadisce, non può essere assolutamente trascurata.
L’art. 345 D.P.R. n. 495/1992 non esige la tutela della riservatezza solo in via eventuale, ad esempio dicendo “… tutelando, se necessario, la riservatezza dell’utente”, come parrebbe ritenere la Corte, ma esige tale tutela incondizionatamente, ed a tale inequivoca volontà non può non essere attribuito il senso che il veicolo possa esser stato fotografato o ripreso in video.
Se la rilevazione della velocità potesse avvenire anche ad occhio nudo non ci sarebbe stato bisogno di tutelare la riservatezza dell’utente.
Che un corretto accertamento della velocità richieda la documentazione fotografica o video è stato recentemente confermato anche dal legislatore all’art. 4 del D.L. n. 121 del 20/6/2002 convertito con modificazioni nella L. n. 168 dell’1/8/2002 pubblicata sulla G.U. n. 183 del 6/8/2002.
Dopo aver indicato, al comma 1, la tipologia delle strade in cui gli organi di polizia stradale di cui all’art. 12 del D. Lvo n. 285/1992 “possono utilizzare o installare dispositivi o mezzi tecnici” finalizzati all’accertamento delle violazioni di cui agli artt. 142 (limiti di velocità) e 148 (sorpasso) del D. Lvo n. 285/1992, il terzo comma dello stesso art. 4 sancisce che “nei casi indicati dal comma 1 la violazione deve essere documentata con sistemi fotografici, di ripresa video o con analoghi dispositivi che, nel rispetto delle esigenze correlate alla tutela della riservatezza personale, consentano di accertare, anche in tempi successivi, le modalità di svolgimento dei fatti costituenti illecito amministrativo, nonché i dati di immatricolazione del veicolo ovvero il responsabile della circolazione. Se vengono utilizzati dispositivi che consentono di accertare in modo automatico la violazione, senza la presenza o il diretto intervento degli agenti preposti, gli stessi devono essere approvati od omologati ai sensi dell’art. 45 comma 6 del decreto legislativo 30 aprile 1992 n. 285” .
In tale disposizione, quindi il legislatore, nel richiamare ancora l’esigenza del rispetto della riservatezza dell’utente, e nel richiedere la necessaria documentazione “con sistemi fotografici, di ripresa video o con analoghi dispositivi …”, ha, sostanzialmente, reso esplicito quello che nell’art. 345 D.P.R. n. 495/1992 era altrettanto chiaro, sebbene solo implicito.
Né la specialità della dettata disciplina, poiché riferita solo a particolari tipologie di strade (autostrade, strade extraurbane principali od altre strade individuate con specifico provvedimento del prefetto), toglie alcunché alle sempre esistenti, a prescindere dal tipo di strada in cui è avvenuta l’infrazione, esigenze di chiarezza, accertabilità, e quindi alla possibilità di verifica successiva all’accertamento, nonché alle esigenze di tutela della riservatezza del trasgressore.
Sotto altro aspetto non è possibile affermare che la necessità di un riscontro fotografico o video è dovuta al fatto che gli agenti non siano presenti vicino all’apparecchiatura e che quindi nessuno può identificare il veicolo se non il documento fotografico o video.
La mancata presenza degli agenti al momento dell’infrazione, invero, è meramente eventuale e non costituisce affatto il caso tipico contemplato dalla norma in esame, come si ricava dal medesimo terzo comma: “Se vengono utilizzati dispositivi che consentono di accertare in modo automatico la violazione, senza la presenza o il diretto intervento degli agenti preposti …”.
Anche quando gli agenti non siano presenti, quindi, la norma esige un riscontro fotografico o video della violazione.
Né, infine, la circostanza che, in caso di accertamento eseguito con i suddetti dispositivi, venga meno l’obbligo di contestazione immediata, come previsto dal comma quarto dell’art. 4 in esame, inficia minimamente le predette conclusioni, essendo il piano della contestazione di una violazione ben distinto da quello relativo al suo accertamento il quale deve, comunque, essere tale da garantire al trasgressore il rispetto delle prescritte modalità di rilevamento.
La stessa I Sezione della Corte di cassazione, del resto, in due pronunce successive rispetto a quella in esame pare abbia voluto prenderne le distanze o, comunque, fare alcune precisazioni.
Così nella pronuncia n. 13413 del 20/7/2004 ha sentenziato che “solo con la stampa della fotografia la rilevazione della velocità assurge a fonte di prova in quanto solo allora viene cristallizzata in un documento cartaceo la rappresentazione volatile della velocità che appare sul display dello strumento”.
E’ vero che tale pronuncia si riferisce all’autovelox e non al telelaser ma non sembra esserci ragione alcuna per cui il medesimo principio non debba valere anche per l’apparecchio telelaser: le esigenze di certezza e di verificabilità nonché le garanzie che devono essere riconosciute al trasgressore sono sempre le stesse, a prescindere dal tipo di apparecchiatura usata.
Nella sentenza n. 21360 del 9/11/2004, invece, la Corte, nel decidere un ricorso relativo ad accertamento a mezzo telelaser richiamandosi ai medesimi principi espressi nella precedente pronuncia n. 5873 del 24/3/2004, ha premesso e precisato che entrambe le proprie decisioni erano relative a violazioni commesse precedentemente all’entrata in vigore della L. 168/2002, di conversione del D.L. 121/2002, quasi a voler chiarire che l’entrata in vigore di tale legge ha modificato, anche in ordine ad accertamenti eseguiti a mezzo di telelaser, il quadro normativo di riferimento.
Non si possono non richiamare, infine, a definitiva confutazione dei principi espressi dalla pronuncia n. 5873/2004, le conseguenze cui darebbe luogo, seguendo quei principi, un’opposizione ad accertamento eseguito a mezzo di telelaser.
Il cittadino che non intenda fidarsi dell’individuazione del veicolo eseguito ad occhio nudo dal pubblico ufficiale potrebbe solo contestare il corretto funzionamento del telelaser chiedendo una costosa consulenza tecnica d’ufficio e, prima del giudizio, necessariamente, il sequestro giudiziario dell’apparecchio, per essere certo che non venga modificato.
Inoltre, per contestare l’efficacia privilegiata del verbale, sempre secondo l’impostazione della Corte, dovrebbe necessariamente rivolgersi ad un avvocato per la presentazione della querela di falso, in via incidentale, in Tribunale, con i tempi e i costi che tutto ciò, tra l’altro, comporterebbe.
Decisamente eccessivo per un procedimento dichiaratamente ispirato a principi di semplificazione nonché inteso “a concentrare le attività processuali in relazione all’esigenza che le parti, avendo il diritto di stare in giudizio di persona, devono avere la possibilità di concludere il processo con il minimo impegno di tempo possibile”, come già sopra dedotto.
E’, oltretutto, evidente come la prova che l’opponente sarebbe tenuto a fornire costituirebbe una vera e propria probatio diabolica.
Allo stesso verrebbe, sostanzialmente, riconosciuto un mero simulacro del diritto di difesa.
E’ chiaro che non sarà mai agevole per il ricorrente, nella normalità dei casi, provare l’errore nel “puntamento” del veicolo da parte del pubblico ufficiale.
E’ proprio in ragione di tali circostanze che il combinato disposto dagli artt. 142 c. 6 D. Lvo n. 285/1992, 345 c. 1 D.P.R. n. 495/1992 e 4 D.L. n. 121/2002 conv. in L. n. 168/2002 richiede, per l’accertamento della velocità, un necessario riscontro documentale certo ed oggettivo.
In definitiva, tirando le somme da tutto quanto innanzi esposto, si deve concludere che, coerentemente ai suddetti convincimenti, sul presupposto dell’insussistenza dell’efficacia privilegiata del verbale di accertamento impugnato, quanto meno in ordine ai fatti oggetto di percezione sensoriale di realtà non statiche, quale si è ritenuto il puntamento di un veicolo in movimento, si è dato luogo, nel presente giudizio, all’esame testimoniale di uno degli agenti verbalizzanti prova che, come si è già detto, ha consentito di suffragare le puntuali e circostanziate allegazioni del ricorrente in ordine all’errore di individuazione del veicolo cui era stata attribuita, dall’agente, la velocità rilevata.
Tra l’altro, l’emerso erroneo utilizzo dell’apparecchio nell’effettuazione dei test di affidabilità costituisce, se non altro, una dimostrazione della fallibilità anche di un pubblico ufficiale e, quindi, un’ulteriore conferma della bontà delle scelte effettuate dal legislatore laddove ha ritenuto necessario, nell’accertamento della velocità, l’esistenza di un riscontro documentale oggettivo.
Per converso, l’esame delle medesime risultanze probatorie, unitamente a quello delle caratteristiche del telelaser Ultralyte, il cui manuale di istruzioni è stato acquisito in corso di causa, consente di sostenere, con rilievo che si formula d’ufficio (cfr. Cass. N. 11595/2001), che l’accertamento contestato è illegittimo ovvero giuridicamente inesistente poiché effettuato da un apparecchio il cui D.M. 1824/2000 di omologa va disapplicato, ai sensi degli artt. 4 e 5 del R.D. n. 2248/1865 all. E, perché non conforme ai requisiti di cui all’art. 345 del D.P.R. n. 495/1992.
Non vi è luogo per pronunciarsi sulle spese legali, non essendosi l’opponente costituito a mezzo di avvocato.

P.Q.M.
 

Il Giudice di Pace, definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso e, per l’effetto, annulla il verbale impugnato.

Chioggia, lì 25/1/2005

IL GIUDICE DI PACE
– Avv. Raffaele Minoia

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