La taratura dell’autovelox

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Per lungo tempo si è discusso se anche per gli autovelox (come per tutti gli altri strumenti di misurazione) fosse necessaria e obbligatoria la taratura. Perfino la Corte di Cassazione con numerose successive pronunce è tornata più volte a contraddirsi e a ribaltare il proprio orientamento, lasciando ai giudici di merito l’arduo compito di decidere secondo la propria libera interpretazione (e secondo l’umore del mattino!).

Questo lungo periodo di incertezza è terminato con la sentenza della Corte Costituzionale n. 113 del 18 giugno 2015. Con questa storica pronuncia finalmente si è sancito il principio: gli autovelox devono essere obbligatoriamente sottoposti a taratura e a verifiche di funzionamento periodiche.

Oggetto della censura della Corte Costituzionale è stato l’art. 45 del Codice della Strada. I Giudici della Corte Costituzionale hanno ritenuto irragionevole che i dispositivi possano effettuare misurazioni di eventi irripetibili, dovendo presumere, senza alcuna possibilità di smentita, che l’accertamento sia sempre e comunque ritenuto corretto solo in virtù della conformità al modello omologato. Viceversa, è sempre opportuno tener conto della fisiologica obsolescenza delle apparecchiature elettroniche, specie in quanto esposte a ad agenti atmosferici e ad eventi che possono variabilmente procurarne un rapido ed imprevedibile deterioramento. Possiamo, quindi, affermare che è sempre necessario che il verbale riporti gli estremi della taratura e delle verifiche di funzionamento effettuate e che, anche in sede di opposizione, l’ente impositore, adempiendo al proprio onere probatorio (circa la legittimità dell’accertamento effettuato), esibisca i relativi certificati.

Ma con quale frequenza sarà necessario tarare gli autovelox e sottoporli a verifica di funzionamento? A questo domanda risponde un recente decreto emesso dal Ministero delle infrastrutture e dei Trasporti, che prevede tassativamente il termine di un anno.

Cosa si intende per taratura

I dispositivi di controllo elettronico della velocità (come tutor e autovelox), per poter essere impiegati, devono essere debitamente omologati e, in particolare, devono essere sottoposti a un verifica periodica che accerti il loro corretto funzionamento, la taratura appunto. Essa deve essere effettuata da un Ente specializzato e va riportata su uno specifico certificato

Negli anni, il tema dell’obbligatorietà della taratura è stato ampiamente dibattuto, sino a quando con la storica sentenza della Corte Costituzionale n. 113 del 18 giugno 2015 si è affermato il principio secondo cui:  gli autovelox devono essere obbligatoriamente sottoposti a taratura e a verifiche di funzionamento periodiche.

In tale occasione, i Giudici hanno evidenziato una falla all’interno del Codice della Strada, ritenendo intrinsecamente irragionevole il fatto che dispositivi utilizzati per misurazioni di eventi irripetibili possano essere esonerati da verifiche periodiche. Occorre, infatti, tener conto del fisiologico invecchiamento degli strumenti elettronici adottati, specie in quanto esposti ad agenti atmosferici che possono procurarne un repentino ed imprevedibile danneggiamento. L’usura e il deterioramento delle componenti meccaniche del dispositivo rendono la rilevazione della velocità dell’automobilista inattendibile. È, quindi, certamente necessario verificare che l’apparecchiatura di controllo sia stata sottoposta a taratura. Il verbale di accertamento deve riportare gli estremi della taratura e delle verifiche di funzionamento effettuate. Inoltre, è imprescindibile che anche in sede di opposizione, la Pubblica Amministrazione, adempiendo al proprio onere probatorio, esibisca i relativi certificati. Lo ha ribadito la Cassazione con l’Ordinanza n. 11869 del 18 giugno 2020.

Da chi deve essere effettuata la taratura?

Affinché la multa per eccesso di velocità sia legittima, la Pubblica Amministrazione non solo deve dimostrare che lo strumento di rilevamento della velocità sia stato tarato ma anche che la taratura sia stata effettuata presso un centro autorizzatoPiù nello specificosecondo il decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti del 13 giugno 2017 «le verifiche iniziali e periodiche di taratura devono essere eseguite, con emissione di certificato di taratura, da soggetti che operano in conformità ai requisiti della norma UNI CEI EN ISOIEC 17025:2005 (e future revisioni) come laboratori di taratura, accreditati da ACCREDIA o da altri organismi di Accreditamento firmatari a livello internazionale degli accordi di mutuo riconoscimento». Dunque, l’organismo nazionale deputato a svolgere questo tipo di attività è Accredia. In alternativa, la taratura potrà essere effettuata solo dalla società costruttrice del dispositivo abilitata alla certificazione di qualità aziendale secondo le norme ISO 9001/2000. Se una di queste due condizioni non dovesse verificarsi, il verbale per eccesso di velocità dovrà essere annullato, poiché elevato mediante un dispositivo non affidabile.

Quando scade la taratura

Secondo il decreto n.  282/2017, emesso dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il certificato di taratura ha scadenza annuale e deve essere rinnovato di volta in volta. Infatti, in tale documento si legge: “Dopo un anno dalla esecuzione della verifica iniziale di taratura, e successivamente con cadenza almeno annuale, su ogni dispositivo o sistema dovranno essere eseguite le verifiche di funzionalità e di taratura”.

Dunque,  affinché  una multa sia valida, occorre che l’apparecchio impiegato nell’accertamento della violazione dei limiti di velocità sia stato tarato da almeno un anno. Nel rispetto del principio di trasparenza è imprescindibile che nel verbale sia indicata la data dell’ultima taratura. Qualora essa non fosse menzionata, il verbale sarà da ritenersi illegittimo. Lo ha sancito la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 5227/2018. Tale principio è stato poi ribadito più recentemente con l’ordinanza n. 29625 dell’11 ottobre 2022 .  In quest’ultima occasione, i giudici hanno accolto il ricorso, avverso quatto verbali per eccesso di velocità, proposto dalla Società Alfa, rilevando che: “non e’ sufficiente che l’apparecchio sia stato inizialmente sottoposto a taratura, ma e’ necessario che tale operazione sia reiterata nel tempo e con una cadenza temporale almeno annuale.”

Il ricorso

Ecco la motivazione da poter inserire nel ricorso per sostenere la nullità del verbale, in quanto l’infrazione sarebbe stata rilevata mediante un dispositivo privo di omologazione

§ Illegittimità dell’accertamento avvenuto mediante dispositivo approvato ma non omologato: Il verbale oggetto dell’odierna contestazione reca l’attestazione secondo cui il dispositivo utilizzato per la rilevazione dell’infrazione sarebbe stato approvato mediante decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Viceversa, il verbale non reca traccia alcuna dell’avvenuta omologazione del dispositivo, in violazione di quanto prescritto dall’art. 142, comma 6, del Codice della Strada, il quale testualmente prevede che: “Per la determinazione dell’osservanza dei limiti di velocità sono considerate fonti di prova le risultanze di apparecchiature debitamente omologate”.
Ove, sulla scorta della solo apparente promiscuità con cui il legislatore sembra utilizzare talvolta il termine “omologazione” e talaltra il termine “approvazione”, come se si trattasse di sinonimi, e si volesse, quindi, sostenere la legittimità del verbale in virtù della equiparabilità della omologazione alla approvazione, giova ricordare che l’art. 192 del Regolamento di Attuazione al Codice della Strada, ai commi 2 e 3, specifica la netta distinzione che separa i due differenti istituti giuridici.
I particolare, l’omologazione consegue al positivo accertamento (da parte del Ministero dei Lavori Pubblici), che il dispositivo per il quale l’omologazione è richiesta sia conforme alle prescrizioni stabilite dal regolamento medesimo. Viceversa, l’approvazione consegue ad una richiesta per la quale il Regolamento non prevede che siano rispettate caratteristiche fondamentali o particolari prescrizioni.
Da tutto quanto appena detto ed esaminato, ne consegue l’assoluta nullità del verbale impugnato, in quanto riferito ad una presunta violazione rilevata mediante dispositivo non omologato, in dispregio a quanto previsto dall’art. 142, comma 6, del Codice della Strada.
Sul punto si susseguono da tempo numerose sentenze dei giudici di merito (ex multis Sentenza del Giudice di Pace di Milano del 11.02.2019, Sentenza del Giudice di Pace di Alessandria n. 64/2019, Sentenza del Giudice di Pace di Alessandria n. 341/2019), alle quali di recente si è aggiunta la pronuncia di legittimità con cui la Corte di Cassazione ha ribadito, tutto quanto appena sostenuto (Ordinanza n. 10505 del 18 aprile 2024).
È facile prevedere che l’amministrazione opposta nelle proprie eventuali controdeduzioni, nell’intento di smentire quanto fino ad ora sostenuto, citi un il parere espresso dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (parere distinto da prot. n. 34505/2010) secondo cui vi sarebbe equivalenza sostanziale tra omologazione e approvazione. Citando testualmente il suddetto parere, l’art. 142 comma 6 del C.d.S. andrebbe “letto in connessione con l’art. 45 comma 6 del C.d.S., ove si fa riferimento esplicito ai mezzi tecnici atti all’accertamento e al rilevamento automatico delle violazioni, per i quali è prevista la procedura dell’approvazione ovvero dell’omologazione, secondo le modalità indicate dall’art. 192 del regolamento di esecuzione e Attuazione”. Al di là del tentativo di mistificazione, è evidente che il citato art. 45 comma 6 del C.d.S. non opera alcuna equiparazione tra approvazione e omologazione. Al contrario, esso distingue nettamente i due termini, così come meritevoli di essere appunto distinti, giacché intende riferirsi a tutti i “mezzi tecnici atti all’accertamento e al rilevamento automatico delle violazioni”, taluni dei quali destinati ad essere omologati (i dispositivi per il controllo della velocità, appunto) e altri per i quali è sufficiente la semplice approvazione. Se, sotto il punto di vista sostanziale, il parare ministeriale si richiama ad una norma che non fa che rafforzare l’eccezione di nullità di cui si discute, sotto il punto di vista formale occorre osservare che i pareri ministeriali, in quanto tali, non sono annoverati tra le fonti del diritto e non hanno alcuna valenza normative, men che meno hanno, pertanto, facoltà di derogare o abrogare leggi dello Stato (quale appunto il Codice della Strada e il relativo, già citato art. 142, comma 6).

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