Fatta eccezione per pochi comuni, il SICVe è principalmente utilizzato sull’asse autostradale e gestito quindi dalla Polizia Stradale. La problematica che si pone riguarda l’eccessiva vicinanza a cui sono tra loro poste diverse postazioni di controllo. Da questa eccessiva vicinanza discende l’effetto per cui spesso ad un’unica infrazione conseguono molteplici rilevazioni. L’eccesso di velocità, infatti, consiste evidentemente per la sua stessa natura in una condotta che non si consuma istantaneamente ma è destinata a protrarsi per un determinato periodo di tempo. Che si tratti di un’unica infrazione è dimostrato, se tale è il caso, dalla vicinanza di tempi e di luoghi a cui si riferiscono i verbali conseguenti alle molteplici rilevazioni. I riferimenti dottrinali da cui trarre fondamento sono ancora una volta quelli ispirati ai principi del diritto penale e alla differenziazione tra illeciti istantanei ed illeciti di durata, il cui momento consumativo si prolunga per un indefinito spazio temporale.
Il principio è stato pienamente acquisito dalla Legge 689/1981, art. 8-bis, comma IV, in base al quale
«le violazioni amministrative successive alla prima non sono valutate, ai fini della reiterazione, quando sono commesse in tempi ravvicinati e riconducibili ad una programmazione unitaria».
In sede di contestazione, dovrà pertanto ritenersi che siano da annullare tutti i verbali riferiti agli accertamenti successivi al primo, poiché essi si riferiscono per l’appunto alla medesima condotta già sanzionata in occasione della rilevazione cronologicamente precedente alle altre.
Ove, viceversa, la richiesta restasse disattesa, si avallerebbe il principio secondo cui uno stesso “illecito di durata” potrebbe essere sanzionato un numero indefinito e potenzialmente illimitato di volte, con conseguenze contrarie ai più elementari principi giuridici. Si pone, tuttavia, un piccolo problema procedurale: i SICVe, infatti, per quanto collocati a breve distanza l’uno dall’altro, risultano, tuttavia, sempre e puntualmente posizionati in modo tale che ciascuno rientri, per le infrazioni accertate, nell’area di competenza di un giudice di pace differente.
Questa circostanza impedisce quindi di poter presentare un unico ricorso avverso tutti i verbali seriali ricevuti, poiché ogni verbale potrà essere esclusivamente opposto innanzi al giudice di pace competente per territorio. In ciascuno ricorso, dovrà quindi farsi espressa menzione della pluralità di verbali ricevuti (allegandone copia), chiarendo che avverso ciascuno di essi è stata presentata opposizione innanzi al giudice competente.
Sulla questione, abbiamo riscontrato da parte dei giudici di pace un certo imbarazzo ed orientamenti spesso tra loro difformi: vi sono, infatti, giudici che sulla base di questa eccezione annullano tout court il verbale per il quale sono chiamati a giudicare e altri che ordinano che il giudizio sia riassunto innanzi al giudice di pace competente per la decisione circa l’opposizione relativa al primo accertamento, oppure rinviano la causa in attesa che siano gli altri giudici a pronunciarsi per primi.
Alcun problema pone, invece, l’opposizione innanzi al prefetto, poiché, considerata la maggiore estensione delle aree di competenza territoriale delle prefettura, sarà generalmente, infatti possibile sollevare la problematica innanzi al medesimo organo competente a rilevare per i molteplici accertamenti.
Il ricorso
Ecco il testo integrale della motivazione da inserire nel ricorso per contestare, in caso di multe seriali, tutte quelle successive alla prima
§ Mancata reiterazione dell’infrazione: Dagli elementi desumibili dai verbali si evince che trattasi non di più reati successivamente commessi, ma della stessa condotta illegittimamente sanzionata più volte. Dai verbali emerge, infatti, che identico è il luogo della presunta infrazione e identico è il momento dell’infrazione (i verbali riguardano, infatti, presunte infrazioni che sarebbero state commesse a pochi minuti di distanza l’una dall’altra). Traendo spunto dalle più comuni nozioni di diritto penale, ci si trova di fronte non ad una pluralità di (presunti) “illeciti istantanei”, ma trattasi di un unico “illecito di durata” in cui il momento consumativo si prolunga per un indefinito arco temporale. Il principio è stato pienamente acquisito dalla Legge 689/1981, art. 8-bis, comma IV, in base al quale «le violazioni amministrative successive alla prima non sono valutate, ai fini della reiterazione, quando sono commesse in tempi ravvicinati e riconducibili ad una programmazione unitaria». Pertanto, oltre che per le ragioni che si andranno ad esporre, si voglia disporre l’annullamento di tutti i su elencati verbali successivi al primo. Ove, viceversa, la presente richiesta restasse disattesa, si avallerebbe il principio secondo cui uno stesso “illecito di durata” potrebbe essere sanzionato un numero indefinito e potenzialmente illimitato di volte, con conseguenze contrarie ai più elementari principi giuridici. Nel silenzio della normativa vigente (nessuna norma prevede, infatti, a che distanza minima debbano essere tra loro collocati i dispositivi di rilevamento della velocità) è evidentemente compito dell’interprete restituire le norme alla loro più giusta e ragionevole applicazione. A tale riguardo va comunque, per completezza, citato l’art. 198 del Codice della Strada, il quale espressamente prevede che: «1. Salvo che sia diversamente stabilito dalla legge, chi con una azione od omissione viola diverse disposizioni che prevedono sanzioni amministrative pecuniarie, o commette più violazioni della stessa disposizione, soggiace alla sanzione prevista per la violazione più grave aumentata fino al triplo […]». Sembrerebbe, quindi, che tale disposizione neghi tutto quanto finora affermato. In materia è intervenuta a far chiarezza la Corte Costituzionale con l’ordinanza n. 14 del 26 gennaio 2007: con detta ordinanza, infatti, la Corte Costituzionale ha ribadito la differenza esistente tra pluralità di accertamenti e pluralità di infrazioni, ed ha, quindi, ritenuto che – in fattispecie come quella in esame – l’art.198, comma II, del Codice della Strada, semplicemente non sia la norma da applicare. L’art. 198, comma II, del Codice della Strada, riguarda, infatti, pluralità di infrazioni (cioè atti illeciti tra loro distinti), e non pluralità di accertamenti riferibili ad un medesimo “atto di durata”. Pertanto, considerata la contiguità degli accertamenti – sia nel tempo che nello spazio – non può ritenersi che a tali accertamenti corrispondano altrettante infrazioni e non può quindi ritenersi applicabile l’art.198, comma II, del Codice della Strada. Così, quindi, citando testualmente l’ordinanza, la Corte rispondeva in merito alla sollevata questione di illegittimità dell’art. 198, comma II, del Codice della Strada: «proprio la contiguità temporale tra i due accertamenti e il fatto che siano stati compiuti lungo la stessa via, evidenziano che il giudice a quo è partito da un erroneo presupposto interpretativo, affermando la necessità dell’applicazione, nella fattispecie in esame, di due distinte sanzioni, senza esporre le ragioni per le quali non si ritiene potersi configurare non solo un’unica condotta, ma anche un’unica violazione, con il conseguente superamento del dubbio di costituzionalità sollevato, dal momento che non ad ogni accertamento deve necessariamente corrispondere una contravvenzione, trattandosi di condotte di durata».