In tema di responsabilità civile da sinistri derivanti dalla circolazione stradale, l’art. 2054, co. 1, c.c., dispone: “Il conducente di un veicolo senza guida di rotaie è obbligato a risarcire il danno prodotto a persone o a cose dalla circolazione del veicolo, se non prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno”. La norma configura, a carico del conducente, una ipotesi di responsabilità presunta, da cui il medesimo può liberarsi dando la prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno.
La prova della responsabilità
In particolare, per liberarsi dalla responsabilità di cui all’art. 2054 c.c., non basta la prova di aver condotto il veicolo diligentemente, osservando tutte le prescrizioni del codice della strada, ovvero, di aver posto in essere un comportamento ineccepibile, avuto conto delle circostanze di tempo e di luogo del sinistro. Piuttosto, è necessario che il conducente fornisca l’indicazione di cause esterne alla sua sfera di comportamento, quali, ad esempio, il caso fortuito e la forza maggiore – che dotati dei caratteri di eccezionalità, inevitabilità ed imprevedibilità, determinano l’esonero da responsabilità dell’agente –, oppure, lo stesso comportamento del soggetto danneggiato, che si sia rivelato fattore causale esclusivo dell’evento dannoso, comunque non evitabile da parte del conducente.
In caso di investimento del pedone, la prova liberatoria per il conducente è molto severa: egli si libera da responsabilità soltanto allorché emerga che non vi era, da parte di questi, alcuna possibilità di prevenire l’evento, né di compiere manovre di emergenza tali da evitare il sinistro.
L’opinione della Corte di Cassazione
In proposito, pare opportuno segnalare una recente pronuncia (Cass. civ., Sez. III, Ord., 13/07/2023, n. 20140) in cui la Suprema Corte di Cassazione ribadisce principi già espressi in materia dalla consolidata giurisprudenza di legittimità e individua, in maniera puntuale, i criteri che debbono indurre a ritenere esclusa la responsabilità del conducente nelle ipotesi di investimento del pedone.
Il caso sottoposto all’esame della Corte riguardava un sinistro in cui era coinvolto un bambino di appena due anni, il quale, sfuggito al controllo dell’adulto che lo accompagnava, attraversava la strada correndo e veniva investito.
In specie, gli Ermellini rigettavano il ricorso proposto dai genitori del minore e, aderendo alla tesi dei giudici d’appello, escludevano qualsiasi responsabilità del conducente dell’autovettura, ritenendo il pedone responsabile in via esclusiva del sinistro.
Segnatamente, nella anzidetta pronuncia, la Corte di Cassazione mette in evidenza come dagli elementi probatori acquisiti al giudizio di appello fosse stato accertato che l’attraversamento del bambino «è stato improvviso edimprevedibile, in quanto è sbucato dietro la sagoma di un’auto in sosta… che impediva la visibilità al conducente…»; altresì, viene attribuita rilevanza all’inevitabilità dello scontro, «in quanto l’impatto è avvenuto quando il veicolo già si trovava all’altezza del punto in cui è uscito il bambino il quale, stante la bassa statura dovuta all’età, non poteva essere avvistato attraverso i vetri dell’autovettura parcheggiata».
Ancora, il giudice di ultima istanza rileva che, a fronte della condotta diligente dell’automobilista, come emerso dalle risultanze probatorie del giudizio di appello (dovendosi ritenere escluso che la velocità dell’autovettura avesse potuto avere una qualsiasi incidenza sull’investimento del pedone, o che fosse inadeguata in relazione alle condizioni dei luoghi), quella del bambino, connotata da assoluta imprevedibilità, avesse reso, in specie, impossibile il tentativo di una manovra di emergenza atta ad evitare l’impatto.
La ricostruzione della vicenda sottoposta al vaglio della Suprema Corte di Cassazione consente di ripercorrere i principi fondanti la responsabilità di cui all’art. 2054, co. 1, c.c. e statuiti nelle pregresse decisioni della giurisprudenza di legittimità, secondo il cui consolidato insegnamento, in materia di circolazione di veicoli, in caso di investimento del pedone, l’accertamento del comportamento colposo di questi non è sufficiente ad affermare la sua esclusiva responsabilità, essendo pur sempre necessario che il conducente vinca la presunzione di colpa posta a suo carico dall’art. 2054, co. 1, c.c., dimostrando di avere rispettato tutte le norme della circolazione stradale nonché tutte le cautele esigibili in relazione alle circostanze del caso concreto e, inoltre, che non vi fosse alcuna possibilità di prevenire l’evento, «situazione ricorrente allorché il pedone abbia tenuto una condotta imprevedibile ed anomala, sicché l’automobilista si sia trovato nell’oggettiva impossibilità di avvistarlo e comunque di osservarne tempestivamente i movimenti. Tanto si verifica quando il pedone appare all’improvviso sulla traiettoria del veicolo che procede regolarmente sulla strada, rispettando tutte le norme della circolazione stradale e quelle di comune prudenza e diligenza».
D’altra parte, la pronuncia in esame assume particolare rilevanza ove si consideri che, nel caso in cui siano presenti bambini sulla carreggiata riservata al traffico veicolare, per norma di comune prudenza, ma anche per l’espresso disposto del Codice della Strada (art. 191, co. 3), il conducente è tenuto a regolare la velocità fino a fermarsi, per evitare ogni pericolo di investimento, in quanto si tratta di pedoni che, in ragione della loro tenera età ed inesperienza, sono particolarmente incerti ed inclini a spostarsi inconsultamente da un punto all’altro della strada, potendo commettere delle imprudenze ragionevolmente prevedibili.