Incompatibilità tra sospensione della pena e lsu

Con la sentenza n. 20726/2013 la Corte di Cassazione torna ad occuparsi del delicato tema della incompatibilità tra sospensione condizionale della pena e lavori di pubblica utilità.

La sospensione condizionale della pena consente, infatti, al condannato di non scontare effettivamente la sanzione, quando essa non ecceda i 2 anni di reclusione, così che essa resti sospesa per un periodo pari a cinque anni, in relazione ad illeciti penali, e a due anni, in relazione ad illeciti amministrativi. Al termine di tale periodo di sospensione, se il condannato non ha commesso altri illeciti (di natura penale o amministrativa), allora il reato sarà da considerarsi definitivamente estinto, e con esso la sua pena.

Pertanto, i Giudici della Suprema Corte hanno ritenuto che la richiesta di usufruire dei benefici legati alla concessione dei lavori di pubblica utilità non possa a sua volta cumularsi con la sospensione condizionale della pena, poiché tali benefici sono strettamente correlati con lo svolgimento effettivo di quelle attività lavorative denominate di “utilità sociale”, proprio nell’auspicio che da esse possa concretamente derivare una rieducazione e sensibilizzazione del reo al rispetto delle norme stradali e della collettività. Viceversa, se tali attività restassero a loro volta condizionalmente sospese non vi sarebbe ragione alcuna di concedere i benefici connessi allo svolgimento dei lavori socialmente utili.

Assodata l’incompatibilità tra i due istituti, altro aspetto problematico riguarda il caso in cui il condannato non abbia esplicitamente rinunciato alla sospensione condizionale e abbia semplicemente richiesto l’applicazione della pena sostitutiva: in tale ipotesi i Giudici hanno ritenuto che la rinuncia alla sospensione condizionale sia da intendersi in modo tacito, anche quando non espressamente manifestata, così da non privare il reo della possibilità di godere del beneficio della pena sostitutiva, in quanto ad egli più favorevole.

Cassazione penale , sez. III, sentenza 14.05.2013 n° 20726

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE III PENALE

Sentenza 7 novembre 2012 – 14 maggio 2013, n. 20726

(Presidente Mannino – Relatore Grillo)

Ritenuto in fatto

1.1 Con sentenza dell’11 novembre 2011 la Corte di Appello di Perugia decidendo in sede di rinvio disposto dalla Corte Suprema di Cassazione confermava la sentenza emessa dal Tribunale di Ascoli Piceno – Sezione Distaccata di San Benedetto del Tronto – in data 14 novembre 2007 nei confronti di C.G. imputato del reato di cui all’art. 186 comma 2 CdS per essere circolato alla guida del veicolo tg. … in stato di ebbrezza (reato accertato il (omissis) ) nella parte relativa alla applicazione della pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, escludendola e confermando il già concesso beneficio della sospensione condizionale della pena.

1.2 In particolare la corte perugina ricordava che con la sentenza emessa dal Tribunale era stata affermata la colpevolezza dell’imputato e concesso allo stesso il beneficio della sospensione condizionale della pena con contestuale sospensione della patente di guida per la durata di trenta giorni. Ricordava che la Corte di Appello di Ancona, investita del gravame, aveva integralmente confermato detta sentenza. Proseguiva la corte umbra, sottolineando che a seguito di ricorso per Cassazione, la S.C., in seguito alla richiesta formulata dall’imputato di sostituzione della pena infittagli con il lavoro di pubblica utilità ai sensi di quanto previsto dall’art. 186 cod. strad. come modificato dalla L. 120/10, che era però intervenuta successivamente alla proposizione dell’atto di appello, aveva annullato la sentenza della corte marchigiana su tale specifico punto, rinviando alla Corte di Appello di Perugia per una valutazione discrezionale sul punto.

1.3 Ciò precisato, la Corte territoriale, nel confermare il punto della sentenza oggetto di annullamento con rinvio, rilevava preliminarmente che la richiesta di sostituzione della pena detentiva con il lavoro di pubblica utilità (le cui modalità e tempi erano stati indicati dalla difesa con apposita analitica istanza presentata alla Corte distrettuale) non comportava ex se la rinuncia implicita al beneficio già concesso della sospensione condizionale, né tanto meno la revoca automatica: ciò precisato, la Corte perugina rigettava la richiesta di sostituzione della pena detentiva, condizionalmente sospesa, con il lavoro di pubblica utilità, non ricorrendone, a suo giudizio, i presupposti, stante anche l’estrema esiguità della durata della pena sostitutiva ritenuta inidonea ad assolvere alla funzione rieducativa. Riteneva, ancora, che la norma dell’art. 186 Codice stradale, anche nella sua nuova formulazione, impedisse la possibilità per il condannato a pena sospesa di fruire del lavoro di pubblica utilità, in quanto una diversa soluzione nel senso prospettato dall’imputato avrebbe di fatto svuotato di contenuto il nuovo istituto previsto dalla L. 120/10, determinandosi una vera e propria commistione di regimi sanzionatori tra loro inconciliabili,

1.4 Per l’annullamento della sentenza ricorre C.G. a mezzo del proprio difensore di fiducia, deducendo con unico motivo, inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale, per avere la Corte territoriale violato, anzitutto, il disposto dell’art. 2 del codice penale, omettendo di applicare all’imputato una norma punitiva più favorevole intervenuta dopo la condanna nel giudizio di appello e, soprattutto, per avere illogicamente escluso che la richiesta di applicazione della pena sostituiva non prevedesse una rinuncia al precedente beneficio della sospensione condizionale. Tale decisione, secondo la prospettazione del ricorrente, determinerebbe una illogica differenza di trattamento tra condannati non ancora in via definitiva prima della modifica legislativa e condannati che hanno immediatamente beneficiato della possibilità di richiedere la misura alternativa. Inoltre – secondo l’impostazione difensiva – ha errato la Corte territoriale nel richiamare il disposto di cui all’art. 73 comma 5 bis del D.P.R. 309/90 che prevede la possibilità di ammettere l’imputato al lavoro di pubblica utilità laddove il giudice abbia ritenuto di non poter concedere il beneficio della sospensione condizionale della pena, trattandosi di previsioni normative aventi oggetto e finalità diverse. Sottolinea la diversità di effetti tra l’istituto della sospensione condizionale della pena e quello della pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità previsto dalla norma speciale, più favorevole rispetto al primo e richiama, infine, le regole prevedute dall’art. 186 comma 9 bis cod. strad. in relazione all’art. 54 del D. L.vo 274/00 che la Corte di appello avrebbe invece violato.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è fondato.

1.1 Appare preliminare ai fini di una corretta valutazione della consistenza del primo motivo di ricorso, riepilogare in sintesi la vicenda processuale sottoposta all’attenzione di questa Corte.

1.2 C.G. , imputato del reato di guida in stato di ebbrezza (art. 186 comma 2 Codice della Strada – fatto commesso in (omissis) ) era stato condannato con sentenza del Tribunale di Ascoli Piceno – Sezione Distaccata di San Benedetto del Tronto – alla pena di venti giorni di arresto ed Euro 600,00 di ammenda con il beneficio della sospensione condizionale della pena ed alla sanzione accessoria amministrativa della sospensione della patente di guida per giorni venti. A seguito di proposizione dell’appello la sentenza veniva confermata dalla Corte di Appello di Ancona. Proposto ricorso per cassazione, questa Corte, con sentenza del 2 dicembre 2010 annullava con rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla richiesta di sostituzione della pena inflitta con quella del lavoro di pubblica utilità in applicazione della Legge 120/10 entrata in vigore successivamente alla proposizione dell’appello e nelle more della definizione del giudizio dinnanzi alla Suprema Corte. La Corte di Appello di Perugia, in sede di rinvio, confermava, sul punto, la sentenza di primo grado, ribadendo il principio che, una volta concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena, non era possibile la sostituzione della pena inflitta con il lavoro di pubblica utilità essendo i due istituti tra loro incompatibili e rilevando ulteriormente che la richiesta del condannato non conteneva una rinuncia espressa al beneficio di cui all’art. 163 cod. pen. già concesso con la sentenza di primo grado, né una rinuncia implicita. A riprova, poi, della tesi della incompatibilità tra i due istituti, la Corte di Appello richiamava il disposto di cui all’art. 73 comma 5 bis del D.P.R. 309/90 che – per i reati in materia di stupefacenti -consente al giudice di irrogare la sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, laddove non ritenga di concedere il beneficio della sospensione condizionale della pena.

1.3 Ciò detto, con il presente ricorso la difesa ritiene che l’intervenuta concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena non sia di ostacolo alla irrogazione della sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, trattandosi di una norma più favorevole da applicare ai sensi dell’art. 2 cod. pen. in relazione alla natura sostanziale dell’istituto. Peraltro – secondo la difesa del ricorrente – la richiesta di lavoro di pubblica utilità doveva considerarsi implicitamente alternativa rispetto al beneficio della sospensione condizionale già concessa e dunque contenente una implicita rinuncia al beneficio precedentemente concesso.

1.4 La questione posta all’attenzione di questa Corte è allora quella di vedere se, una volta ottenuto il beneficio della sospensione condizionale della pena, l’eventuale sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità comporti per il condannato una rinuncia implicita al beneficio medesimo o se sia possibile comunque il mantenimento del beneficio concesso nel caso di applicazione della pena sostitutiva.

1.5 Ma in aggiunta a tali questioni se ne pongono altre collegate alle modalità di applicazione della pena sostituiva che impongono un esame meditato complessivo della norma speciale che la prevede.

2. L’istituto del lavoro di pubblica utilità nella ipotesi del reato di guida in stato di ebbrezza introdotto dall’art. 33 della Legge 120/10 non rappresenta una novità assoluta nel nostro ordinamento, in quanto istituti similari si rinvengono nell’art. 73 comma 5 bis del D.P.R. 309/90 in materia di detenzione illecita di sostanze stupefacenti nella forma attenuata (richiamato nella sentenza impugnata quale esempio paradigmatico per affermare la inconciliabilità tra il beneficio di cui all’art. 163 cod. pen. e il lavoro di pubblica utilità); ancora, nelle ipotesi disciplinate dall’art. 165 comma 1 cod. pen., sotto forma di condotta riparatoria in favore della collettività, cui può essere subordinata la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena; ovvero ancora, in materia di sanzioni alternative irrogabili da parte del giudice di pace per reati rientranti nella sua competenza (art. 54 del D. L.vo 274/00).

2.1 Per quanto rileva in questa sede, in linea generale va osservato che nella materia dei reati rientranti nella competenza del giudice di pace non è consentita la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, per espresso divieto imposto dall’art. 60 del citato D. L.vo 274/00: tale specifica previsione costituisce una implicita conferma della tesi secondo la quale non è possibile concedere contemporaneamente il beneficio della sospensione condizionale e il lavoro di pubblica utilità: in caso contrario infatti l’istituto verrebbe snaturato e svuotato del suo contenuto intrinseco rappresentato proprio dall’espletamento di una attività che comporta la collaborazione da parte del condannato e che esige, soprattutto, una esecuzione concreta della sanzione sostitutiva.

2.2 Peraltro va osservato che per effetto della L. 313/07 (legge di conversione del D.L. 117/00 che ha modificato l’intelaiatura dell’art. 186 cod. stradale, rivedendo le ipotesi di reato, rimodulando le pene e ripristinando la competenza del Tribunale in luogo di quella del giudice di Pace) – norma processuale applicabile ratione temporis al caso in esame – era (ed è) consentita la concessione del beneficio di cui all’art. 163 cod. pen. non valendo più il divieto speciale imposto dall’art. 60 del D. Lvo 274/00, per l’intervenuta sottrazione del reato di guida in stato di ebbrezza (o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti) alla cognizione del giudice di pace.

2.3 Una conferma ulteriore della non compatibilità tra sospensione condizionale della pena e lavoro di pubblica utilità è data anche – come del resto ricordato dalla sentenza impugnata – dal testo dell’art. 73 comma 5 bis del D.P.R. 309/90 nella parte in cui si dispone che: “Nell’ipotesi di cui al comma 5, limitatamente ai reati di cui al presente articolo commessi da persona tossicodipendente o da assuntore di sostanze stupefacenti o psicotrope, il giudice, con la sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale, su richiesta dell’imputato e sentito il pubblico ministero, qualora non debba concedersi il beneficio della sospensione condizionale della pena, può applicare, anziché le pene detentive e pecuniarie, quella del lavoro di pubblica utilità di cui all’articolo 54 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, secondo le modalità ivi previste”.

È quindi evidente che il lavoro di pubblica utilità quale misura sostituiva costituisce una alternativa – e non una aggiunta – al beneficio della sospensione condizionale della pena.

3. Ritornando alla sanzione sostitutiva introdotta dall’art. 33 della L 120/10, il comma 9 bis dell’art. 186 cod. stradale nel suo attuale assetto testualmente recita: “Al di fuori dei casi previsti dal comma 2-bis del presente articolo, la pena detentiva e pecuniaria può essere sostituita, anche con il decreto penale di condanna, se non vi è opposizione da parte dell’imputato, con quella del lavoro di pubblica utilità di cui all’articolo 54 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, secondo le modalità ivi previste e consistente nella prestazione di un’attività non retribuita a favore della collettività da svolgere, in via prioritaria, nel campo della sicurezza e dell’educazione stradale presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni o presso enti o organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato, o presso i centri specializzati di lotta alle dipendenze. Con il decreto penale o con la sentenza il giudice incarica l’ufficio locale di esecuzione penale ovvero gli organi di cui all’articolo 59 del decreto legislativo n. 274 del 2000 di verificare l’effettivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità. In deroga a quanto previsto dall’articolo 54 del decreto legislativo n. 274 del 2000, il lavoro di pubblica utilità ha una durata corrispondente a quella della sanzione detentiva irrogata e della conversione della pena pecuniaria ragguagliando 250 Euro ad un giorno di lavoro di pubblica utilità. In caso di svolgimento positivo del lavoro di pubblica utilità, il giudice fissa una nuova udienza e dichiara estinto il reato, dispone la riduzione alla metà della sanzione della sospensione della patente e revoca la confisca del veicolo sequestrato. La decisione è ricorribile in cassazione. Il ricorso non sospende l’esecuzione a meno che il giudice che ha emesso la decisione disponga diversamente. In caso di violazione degli obblighi connessi allo svolgimento del lavoro di pubblica utilità, il giudice che procede o il giudice dell’esecuzione, a richiesta del pubblico ministero o di ufficio, con le formalità di cui all’articolo 666 del codice di procedura penale, tenuto conto dei motivi, della entità e delle circostanze della violazione, dispone la revoca della pena sostitutiva con ripristino di quella sostituita e della sanzione amministrativa della sospensione della patente e della confisca. Il lavoro di pubblica utilità può sostituire la pena per non più di una volta”.

4. Un doveroso cenno va fatto alle modalità attraverso le quali si può applicare da parte del Tribunale tale sanzione sostitutiva per il reato in esame.

4.1 Premesso che di tale pena sostitutiva possono usufruire coloro che siano stati condannati per una delle due ipotesi contravvenzionali rispettivamente previste dall’art. 186 o 187 cod. strad. (con le uniche limitazioni ostative rappresentate dalla eventuale sussistenza della circostanza aggravante prevista nel comma 2 bis dell’art. 186 – l’aver provocato a causa della guida in stato di ebbrezza o sotto effetto di sostanze stupefacenti, un sinistro stradale – e dalla precedente fruizione di analoga sanzione), non è necessario il consenso da parte dell’interessato attraverso una esplicita richiesta di applicazione, essendo invece sufficiente la semplice non opposizione. Ciò rafforza l’ipotesi che possa essere il giudice – nell’ambito del proprio potere discrezionale – a valutare anche ex officio l’opportunità di modulare la pena in relazione alle concrete esigenze di recupero sociale del condannato (funzione rieducativa della pena), pur essendo auspicabile una preventiva adesione – sotto forma di richiesta esplicita – da parte dell’imputato o del suo difensore munito di procura speciale (vertendosi in tema di diritti personalissimi dell’imputato attinenti alla sua libertà personale) alla applicazione di detta pena.

4.2 La norma in esame costituisce, quindi, una lex specialis che – nonostante il richiamo in termini generali all’art. 54 del D.L.vo 74/00 ivi contenuto – costituisce per certi aspetti una deroga al sistema generale di tipo sanzionatorio previsto per i reati di competenza del Giudice di Pace: infatti, come dianzi accennato, nel caso disciplinato dall’art. 186 CdS non è prevista una richiesta esplicita da parte del soggetto interessato, ma è sufficiente la sua non opposizione. Tale deroga si giustifica in relazione alla peculiare natura del reato previsto dall’art. 186 CdS ed alle sottese finalità che il legislatore intende perseguire: è evidente, infatti, lo scopo di consentire a soggetti che si siano resi responsabili di violazioni delle regole sulla circolazione stradali legate all’uso di sostanze alcoliche e/o stupefacenti, di essere avviati ad un recupero sociale specifico comportante una vera e propria opera di rieducazione al rispetto delle norme stradali nell’ottica di un maggiore rispetto verso la collettività attraverso l’espletamento di attività collegate alla normativa generale della circolazione stradale ed agli enti che operano in tale specifico settore dell’ordinamento.

4.3 Tali finalità specifiche consentono quindi di assimilare o, quanto meno, avvicinare l’istituto in esame a quello, sostanzialmente analogo (v. infra), previsto dall’art. 73 comma 5 bis del D.P.R. 309/90, non potendosi negare, anche in quest’ultimo caso, la specificità del lavoro di pubblica utilità collegata alla particolare natura del reato, nell’ottica di una rieducazione del soggetto interessato ad un maggior rispetto della propria salute ed in ultima analisi anche della collettività sociale all’interno della quale tale soggetto dovrà svolgere la propria vita.

4.4 Tornando alle modalità di applicazione del lavoro di p.u., quanto alla sua durata, essa è commisurata alla durata della pena sostituita secondo un criterio di ragguaglio, derogatorio, però, rispetto a quello previsto dall’art. 58 comma 3 del D. L.vo 274/00 (tenuto conto che non si tratta più di reato rientrante nella competenza del giudice di pace): criterio il quale prevede che il lavoro di pubblica utilità abbia una durata pari alla pena detentiva irrogata e che la pena pecuniaria da ragguagliare corrisponda ad Euro 250,00 per ogni giorno di pubblica utilità (“il lavoro di pubblica utilità ha una durata corrispondente a quella della sanzione detentiva irrogata e della conversione della pena pecuniaria ragguagliando 250 Euro ad un giorno di lavoro di pubblica utilità”).

4.5 Quanto ai limiti di durata del lavoro di p.u., il richiamo in termini generali all’art. 54 del D.L.vo 274/00 contenuto nel comma 9 bis dell’art. 186 cod. strad. comporterà una durata massima giornaliera di sei ore (pari, quindi, a tre giorni di arresto), fermo restando che il condannato possa richiedere modalità temporali diverse in sede di esecuzione; così come il criterio generale di computo è quello contemplato dall’art. 54 comma 5 del D. L.vo citato in virtù del quale un giorno di lavoro di p.u. corrisponde a due ore – anche non continuative – di attività lavorativa.

4.6 Èriconosciuto – in vista degli effetti favorevoli conseguenti al positivo espletamento del lavoro di pubblica utilità – un potere di verifica da parte del giudice (“il giudice incarica l’ufficio locale di esecuzione penale ovvero gli organi di cui all’articolo 59 del decreto legislativo n. 274 del 2000 di verificare l’effettivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità”): in caso di un risultato positivo, il giudice in sede di esecuzione, previa fissazione dell’udienza camerale e con decisione ricorribile unicamente in Cassazione, dichiara l’estinzione del reato, contestualmente revocando la confisca del veicolo eventualmente disposta e riducendo la sospensione della patente di guida in ragione di metà.

4.7 Laddove, invece, il condannato dovesse incorrere in una qualche violazione degli obblighi connessi all’espletamento della pena sostitutiva, è prevista – sempre con le forme proprie dell’incidente di esecuzione ex art. 666 cod. proc. pen. – la revoca da parte del giudice della pena sostitutiva, con il ripristino in misura intera di quella sostituita e della sanzione amministrativa della sospensione della patente, nonché il ripristino della confisca del veicolo (“il giudice tenuto conto dei motivi, della entità e delle circostanze della violazione, dispone la revoca della pena sostitutiva con ripristino di quella sostituta e della sanzione amministrativa della sospensione della patente e della confisca”).

4.8 Per completezza, va rilevato – come precedentemente accennato – che la complessiva struttura della norma esaminata è – pur nella diversità delle finalità specifiche, assimilabili solo se si abbia riguardo alla necessità di un recupero sociale specifico – sostanzialmente omologa a quella prevista dall’art. 73 comma 5 bis del D.P.R. 309/90 (in materia di reati in tema di stupefacenti per i quali sia stata riconosciuta la circostanza attenuante speciale del fatto di lieve entità), nelle parti in cui quest’ultima norma prevede il potere di vigilanza del giudice; le modalità temporali di espletamento del lavoro; i criteri di ragguaglio; le conseguenze legate all’esito del lavoro sostitutivo; la procedura da seguire in caso di violazione degli obblighi (“Con la sentenza il giudice incarica l’Ufficio locale di esecuzione penale esterna di veri fica re l’effettivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità. L’Ufficio riferisce periodicamente al giudice. In deroga a quanto disposto dall’articolo 54 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, il lavoro di pubblica utilità ha una durata corrispondente a quella della sanzione detentiva irrogata. Esso può essere disposto anche nelle strutture private autorizzate ai sensi dell’articolo 116, previo consenso delle stesse. In caso di violazione degli obblighi connessi allo svolgimento del lavoro di pubblica utilità, in deroga a quanto previsto dall’articolo 54 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, su richiesta del Pubblico ministero o d’ufficio, il giudice che procede, o quello dell’esecuzione, con le formalità di cui all’articolo 666 del codice di procedura penale, tenuto conto dell’entità dei motivi e delle circostanze della violazione, dispone la revoca della pena con conseguente ripristino di quella sostituita. Avverso tale provvedimento di revoca è ammesso ricorso per Cassazione, che non ha effetto sospensivo. Il lavoro di pubblica utilità può sostituire la pena per non più di due volte”).

4.9 Per altro verso, invece, il testo dell’art. 73 comma 5 bis del D.P.R. 309/90, nel suo incipit prevede, quale presupposto per l’applicazione del lavoro di p.u. la richiesta espressa dell’interessato, con evidenti analogie, per quanto riguarda tale aspetto, rispetto al sistema generale previsto dall’art. 54 del D.L.vo 274/00, dal quale poi si discosta nella misura in cui viene previsto anche l’obbligo di sentire il Pubblico Ministero (“nell’ipotesi di cui al comma 5, limitatamente ai reati di cui all’art. 73 commessi da persona tossicodipendente o da assuntore di sostanze stupefacenti o psicotrope, il giudice, …, su richiesta dell’imputato e sentito il pubblico ministero, qualora non debba concedersi il beneficio della sospensione condizionale della pena, può applicare, anziché le pene detentive e pecuniarie, quella del lavoro di pubblica utilità di cui all’articolo 54 del decreto legislativo 28 agosto 2000 n. 274, secondo le modalità ivi previste”).

5. Così delineati i tratti salienti della pena sostituiva disciplinata dall’art. 186 comma 9 bis cit., si tratta di vedere se, una volta che sia stato concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena, sia possibile sostituire tale beneficio con il lavoro di pubblica utilità: al quesito deve darsi risposta positiva, tenendo presente, però, quale dato di riferimento generale, la incompatibilità tra i due istituti: invero sarebbe quanto mai singolare ed irrazionale che l’eventuale lavoro sostitutivo comporti, comunque, il mantenimento della sospensione condizionale, in quanto l’effetto estintivo del reato (ma anche il dimezzamento della sanzione accessoria amministrativa della sospensione della patente di guida) per l’imputato derivante dall’esito positivo dell’attività lavorativa sostitutiva, in tanto può verificarsi in quanto quell’attività venga prestata effettivamente.

6. Altro discorso è, invece, quello della necessità da parte del condannato di rinunciare espressamente al beneficio della sospensione condizionale eventualmente concessa in sede di richiesta della applicazione della pena sostitutiva sopra indicata: l’incompatibilità tra i due istituti induce a ritenere che nella ipotesi in cui una simile rinuncia non venga effettuata in modo espresso, deve intendersi come tacitamente avvenuta, non solo perché, in caso contrario, si perverrebbe alla insostenibile conclusione di una sanzione sostitutiva a sua volta condizionalmente sospesa, ma anche perché si determinerebbe una inammissibile lesione dei diritti del condannato che vedrebbe pregiudicata la possibilità di usufruire di una modalità di esecuzione della pena diversa e più favorevole, con aperta violazione della regola generale di cui all’art. 2 del codice penale. È indubbio, infatti, che la disposizione introdotta nell’art. 186 del codice stradale, rispetto alla sospensione condizionale della pena, contiene effetti più favorevoli, sia in termini di durata della pena sostitutiva, sia in termini di criteri di ragguaglio, sia in termini di conseguenze finali (sotto il profilo di un dimezzamento “secco” della sanzione amministrativa della sospensione della patente di guida e di una durata inferiore della pena sostituiva da “scontare”), fermo restando, poi, l’effetto estintivo del reato sostanzialmente analogo a quello previsto dagli artt. 166 e 167 cod. peri.

7. Quanto, poi, ai criteri generali cui deve essere improntata la decisione da parte del giudice di applicare la pena sostitutiva, una volta risolto in termini negativi il nodo della compatibilità, al giudice è preclusa – tranne che non vi sia una espressa opposizione da parte del condannato a vedersi applicata la sanzione sostituiva – qualsiasi valutazione in ordine alla adeguatezza della sanzione che risponde, invece, ad una regola automatica sottratta a giudizi di tipo discrezionale o, ancor peggio di opportunità, in vista del concreto raggiungimento della funzione rieducativa della pena. È, infatti, il legislatore, nell’ottica di una specifica politica giudiziaria riguardante l’aspetto ed assetto punitivo – e dunque nell’ambito di ben precise scelte legislative di fondo – a privilegiare, a monte, determinate soluzioni connesse a ben precise violazioni di legge. La scelta compiuta nel senso di consentire al condannato di fruire di un determinato beneficio attraverso una concreta prestazione di servizi in favore della collettività (“da svolgere, in via prioritaria, nel campo della sicurezza e dell’educazione stradale presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni o presso enti o organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato, o presso i centri specializzati di lotta alle dipendenze” risponde a logiche speciali dirette alla rieducazione concreta del condannato e soprattutto appare coerente con la valorizzazione delle pene alternative alla detenzione che rappresenta la linea guida nella modulazione delle pene in rapporto ai singoli reati”) risponde, infatti, a precise finalità ricollegate alla particolare natura del reato commesso che esige sanzioni alternative modellate secondo tali finalità.

8. Alla stregua di tali considerazioni rileva la Corte che la sentenza impugnata è incorsa nei vizi denunciati, anzitutto, per avere irragionevolmente escluso che la richiesta di applicazione della pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità includesse una rinuncia (tacita) al beneficio della sospensione condizionale della pena precedentemente concesso, dovendo invece tale rinuncia considerarsi implicitamente formulata stante la non compatibilità tra l’istituto della sospensione condizionale della pena ed il nuovo istituto del lavoro di pubblica utilità quale pena sostitutiva ex art. 186 comma 9 bis del Codice stradale.

9. Ma la Corte perugina è incorsa in una ulteriore violazione di legge per avere, in concreto, escluso l’applicabilità della pena sostituiva richiesta dal condannato, esprimendo un giudizio di adeguatezza della misura (in termini di eccessiva brevità inidonea ad assicurare un trattamento rieducativo) non previsto dalla norma la quale è, invece, parametrata – quanto alla durata – su criteri di automatismo che prevedono un rapporto predeterminato per legge tra sanzione originaria e pena sostituita, insuscettibile di valutazione discrezionale: nell’operare tale esclusione il giudice penale non solo ha violato la regola generale di cui all’art. 2 del codice penale, inibendo al condannato la fruizione di una pena più favorevole sopravvenuta medio tempore, ma ha espressamente violato il precetto normativo speciale che ancora il divieto di applicazione della sanzione sostitutiva alla sussistenza di due condizioni ostative (ricorrenza dell’aggravate di cui al comma 2 bis dell’art. 186 Cod. Strad. e precedente fruizione di analoga sanzione sostitutiva) nella specie insussistenti e ricollega l’applicazione al solo requisito della non opposizione da parte del condannato (nella specie non solo insussistente, ma addirittura contraddetto da una esplicita richiesta di applicazione della pena sostitutiva).

9.1 Così operando la Corte umbra non si è nemmeno attenuta ai compiti propri del giudice di rinvio che aveva annullato in parte qua la sentenza della Corte di Appello di Ancona onde consentire al giudice di merito di valutare la possibilità di applicazione della pena sostitutiva senza dettare regole particolari, ma evidentemente facendo riferimento alla norma speciale che ne disciplinava i criteri e le modalità di applicazione.

10. Inoltre non appare per nulla rispondente a logica, né in sé coerente sotto il profilo della linearità argomentativa (in questo senso contraddittoria), l’affermazione della Corte distrettuale secondo la quale una eventuale applicazione della pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, nella ipotesi esaminata, avrebbe determinato una inammissibile commistione tra diversi regimi sanzionatori, in quanto l’uno esclude l’altro, stante il principio in questo caso implicito – della alternatività contenuto nella norma speciale.

11. Ed in ultimo il giudice territoriale, nell’esprimere una valutazione discrezionale negativa collegata alla durata della sanzione, ha certamente esorbitato dalle sue prerogative, esercitando un potere riservato, invece, esclusivamente al legislatore nella scelta di determinate misure sanzionatorie.

12. Possono, allora, affermarsi i principi di diritto che seguono: a) la richiesta da parte del condannato cui sia stato concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena, di fruire della pena sostituiva del lavoro di pubblica utilità previsto dal comma 9 bis dell’art. 186 cod. strad. implica una rinuncia tacita al beneficio di cui all’art. 163 cod. pen., eventualmente concesso in precedenza, stante la incompatibilità tra i due istituti e non necessita di un consenso espresso, essendo sufficiente la non opposizione dell’interessato in deroga a quanto previsto dall’art. 54 del D.L.vo 274/00; b) la pena sostituiva del lavoro di pubblica utilità costituisce norma di diritto penale sostanziale che trova applicazione secondo i principi generali previsti dall’art. 2 del Codice penale e che in concreto risulta più favorevole rispetto al beneficio di cui all’art. 163 cod. pen.; c) la decisione che il giudice di merito è chiamato ad adottare in ordine alla applicabilità della sanzione sostitutiva prescinde da valutazioni di tipo discrezionale quanto alla sua durata – ma non alle concrete modalità applicative ed è legata, da un lato, alla insussistenza delle condizioni ostative previste per legge (circostanza aggravante dell’avere causato un incidente stradale e pregressa fruizione di analoga pena sostituiva) in via alternativa e/o cumulativa e, dall’altro, al requisito positivo della non opposizione da parte del condannato (o di una sua richiesta esplicita o consenso espresso) alla applicazione della pena sostitutiva medesima; d) il criterio di durata e quello di commisurazione della pena sostitutiva rispetto alla pena originaria sono predeterminati per legge e dunque insuscettibili di una valutazione discrezionale da parte del giudice che deve attenersi ai criteri generali di ragguaglio normativamente previsti.

13. La sentenza impugnata va, pertanto, annullata con rinvio ad altra Corte di Appello (Corte di Appello di Firenze) che, in sede di rinvio, dovrà attenersi ai principi di diritto come sopra enunciati da questa Corte, verificando la possibilità di applicare la pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità alla luce delle regole ermeneutiche sopra indicate.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Firenze.

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